I martiri del massacro di Baghdad segno di unità per tutti i cristiani dell’Iraq
di Simone Cantarini
Con una speciale messa i sopravvissuti ricoverati al Policlinico Gemelli ricordano oggi in Vaticano le 57 vittime dell’attacco alla chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso di Baghdad. AsiaNews ha raccolto la testimonianza di p. Aysar Saaed giovane sacerdote iracheno che domani lascerà l’Italia per stare vicino ai familiari delle vittime rimaste in Iraq.
Roma (AsiaNews) – Una speciale messa in ricordo delle vittime dell’attacco del 31 ottobre alla chiesa di Nostra Signora del perpetuo soccorso di Baghdad verrà celebrata oggi pomeriggio in Vaticano dal card Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. Alla celebrazione saranno presenti i sopravvissuti rimasti feriti, ricoverati dal 12 novembre al policlinico Gemelli di Roma. A quasi un mese dal tremendo assalto degli estremisti islamici, costato la vita a 57 persone, AsiaNews ha raccolto la testimonianza di p. Aysar Saaed, giovane sacerdote iracheno. In Italia dal 2005 per studi, p. Saaed si è occupato in questi giorni dell’assistenza ai 26 sopravvissuti alla strage e domani anticiperà il suo ritorno in patria per stare vicino alle famiglie delle vittime rimaste in Iraq.
“Ad essere stata attaccata è stata la mia parrocchia – afferma il sacerdote - io ho fatto lì il servizio sacerdotale per cinque anni, prima di venire qui in Italia per studiare. Sarei dovuto tornare l’anno prossimo, durante l’estate, perché dovevo concludere la tesi. Lascio tutto, ma non è importante. Noi ci sentiamo responsabili e vogliamo stare con i nostri fedeli con la nostra gente, con la nostra Chiesa, dare un segno di speranza, di solidarietà, di consolazione al nostro popolo. È una decisione personale”.
P. Saaed dice che per il momento i feriti resteranno invece ancora in Italia. Molti di loro non vogliono tornare a Baghad, hanno paura e sono ancora sotto shock. “Il mondo – afferma - non ha visto nulla del massacro, anche se abbiamo provato a mostrare foto della chiesa e delle vittime, ma non si può immaginare, c’era sangue ovunque, sul pavimento, sulle pareti, sui lampadari, sugli arredi sacri. Tutto era impregnato di sangue”. “La cosa più importante – sottolinea padre Saaed - è fare curare i feriti anche a livello psicologico, perché hanno vissuto un momento terribile. Hanno passato 4 -5 ore di inferno. Molti di loro non credevano di uscire vivi, pensavano di morire lì come gli altri. Hanno visto i propri familiari cadere davanti a loro”.
Nonostante il dramma e la crudeltà di questo attacco, p. Saaed sottolinea che la chiesa di Nostra Signora del Perpetuo soccorso ha offerto un simbolo di unità per i cristiani iracheni. “La nostra chiesa colpita dall’attentato ha offerto un simbolo molto bello: la chiesa è del rito sirocattolico, però i martiri non erano solo i nostri, c’erano caldei, sirocattolici, siroortodossi. I martiri erano divisi di tanti riti, ma questa chiesa [di Baghdad] era un simbolo di una Chiesa unita”.
“Noi in Iraq – continua - siamo cristiani, ma divisi in tanti riti: la maggior parte sono caldei, poi ci sono i siri cattolici, siri ortodossi, assiri, armeni cattolici e armeni ortodossi, melchiti cattolici e melchiti ortodossi, la chiesa latina, i protestanti, gli evangelici. Però prima nessuno si definiva caldeo, siro, assiro, si diceva cristiano. Oggi, con tutto il caos che hanno portato gli americani, anche la Chiesa ha sottolineato queste differenze. Ma questo non serve oggi. Per nominare i cristiani, nella Costituzione del 2005 non si dice popolo cristiano, si dice ‘il popolo caldeo siro assiro’. Ma si può fare una cosa così? Io mi domando e gli armeni dove sono? Non sono cristiani? I melchiti non sono cristiani? I latini che cosa sono, non sono cristiani? Quindi? A cosa serve tutto questo? Quindi, chi ha sbagliato? Hanno sbagliato i responsabili della comunità. Tutti, perché oggi noi siamo cristiani, non di più”.
P. Saaed sottolinea che oggi tutti gli iracheni, cristiani e musulmani, hanno una responsabilità, soprattutto nel dire la verità. “Le cose – afferma - devono essere nominate come sono, che significa dire la verità così com’è. Bianca o nera, anche se la verità da noi costa tanto. Da noi è costata la vita di 58 persone, oltre a 70 feriti. Questa è la verità. Poi, oggi non si può cercare la via diplomatica, oggi la via diplomatica non serve, mi dispiace dirlo, oggi dobbiamo usare tutti la forza morale, non soltanto per condannare, denunciare l’atto di violenza, ma per specificare le cose come stanno: il male, la morte non porta un bene alla vita umana. Porta la miseria, la sofferenza”.
“Quindi – aggiunge - abbiamo bisogno del contributo di tutti, di tutte le religioni per educare e crescere una generazione nuova: che sappia cosa vuol dire tolleranza etnica, politica e religiosa; che sappia cosa vuol dire pace. Il dono della pace è importante per la vita umana. Che sappia cosa vuol dire che la differenza con l’altro è un dono, una ricchezza, non deve essere causa di sofferenza, che sappia cosa vuol dire che l’altro è mio fratello, mio compagno, cosa vuol dire i diritti umani fondamentali, che ognuno di noi ha il diritto di essere cittadino pieno, conosciuto, non c’è uno di prima classe e uno di seconda classe. Rispettare la vita e il valore della vita, e in questo dobbiamo impegnarci tutti noi, con la buona volontà, con l’aiuto di Dio, del Signore, per far crescere una nuova generazione. Solo così possiamo aiutare il nostro Paese”.
In vista del Natale p. Saaed, afferma: “Non so con quale spirito ci prepareremo al Natale. La gente, qui, è stanca, ferita nello spirito oltre che nel corpo. Andremo in chiesa, ma solo per pregare per la pace. E per ricordare nostro Signore Gesù che si è fatto piccolo nella grotta, per portare misericordia e salvezza a tutti noi”.
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