Beato Pier Giorgio, guidami nel pretendere la legittima eredità di figlio di Dio
ed erede del Suo regno. Mostrami, con il tuo esempio,come essere lento all’ira
e delicato nei miei rapporti con gli altri.
Aiutami a comunicare la pace di Cristo, pronunciando parole di pace
e vivendo la vita nella pace.
Beato Pier Giorgio chiedo la tua intercessione per ottenere da Dio, che è mite
ed umile di cuore, tutte le grazie necessarie al mio bene spirituale e temporale.
Con fiducia ti chiedo aiuto …(si formula la richiesta di grazia)

giovedì, settembre 21, 2023

Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 8.

 20/09/2023.

Questo giorno si chiamerà "Cambiamenti". 



Una colazione più che eccellente a casa Kanu, oggi: mezzo sfilatino col tonno che pesa almeno mezzo chilo senza condimento, e fortuna che avrei dovuto perdere dei chili, niente di tutto questo con John. Dopo il barbecue di ieri la capra ancora bela nello stomaco, non si riesce molto a fare colazione ma penso che il tonno abbia il potere di divorare la capra e lo mandiamo giù. Ci siamo, è il momento dei saluti e non so se ognuno dei componenti della famiglia sembri fare altro per distrarsi da questo strappo, oppure siamo noi i soliti sentimentali. Anche oggi comunque non mancano le sorprese: difatti ognuno di noi riceve dei regali anche per i componenti delle nostre famiglie. Siamo sempre un po' in difetto, ma a loro fa piacere e ci testimoniano ancora una volta l'affetto che hanno per noi. Clare (l'ultima figlia di John e Millicent), dal secondo giorno a casa loro, ci ha cominciato a chiamare zii e ha litigato anche con dei bambini che gli chiedevano chi eravamo, e lei convinta rispondeva: sono i miei zii, e gli altri rispondevano che non è possibile, ma non avevano alcuna possibilità, è così e basta. La principessa Clare è fortissima, ha 5 anni ma un carattere deciso ed è simpaticissima. 



Saliamo in macchina e si va, prima a scuola, poi alla parrocchia del cappellano per i saluti e per vedere un nuovo progetto di costruzione della canonica che ora manca. Salutiamo anche Alex, il nostro militare di scorta personale che ci dice che passerà di grado e diventerà responsabile di tutta la caserma. Ci avviamo al traghetto, un po' migliore di quello della scorsa volta per quanto riguarda la prima classe, per il resto tutto uguale, sovraffollamento e macchine parcheggiate ad un centimetro di distanza tanto da non potere aprire gli sportelli. A bordo appena la nave salpa assistiamo ad uno spettacolo che sarebbe stato da filmare: due ragazzi mascherati con della barba dipinta con pennarello bianco su pelle nera fanno una scenetta come le nostre, sembravano Francesco Casagrande e gli attori del vernacolo sambenedettese, facevano finta di essere uno musulmano e l'altro cristiano (secondo noi tutti e due musulmani), e si schernivano a colpi di frasi religiose, e poi hanno iniziato a coinvolgere il pubblico in una specie di gara a chi avrebbe ricavato più soldi, ognuno con la sua busta di plastica nera, ad ogni offerta ovazione per i cristiani o viceversa. Abbiamo vinto noi, ovviamente, e John ci ha dato dei soldi anche per fare questo giochino. Ci siamo divertiti come dei matti. Appena però il tonno ha sentito odore di mare aperto sarebbe voluto tornare lì, e si dimenava con tutte le sue forze per poter uscire, ci sarebbe voluta una grappa per farlo calmare ma niente. 



Ora si scende e via, verso la parrocchia di padre Levi, a metà strada tra il molo e l'aeroporto; parrocchia di San Giuseppe. Aspettiamo al fresco di un albero di anacardi enorme; padre Levi torna in Italia col nostro stesso volo per venire a studiare, sa anche discretamente l'italiano. Adesso inizia il tempo senza tempo del volo, del fuso orario di un giorno passato a bordo di questa strana macchina. La cognizione di dove ci si trova e dove si arriva si perde, comunque fra qualche tempo saremo a casa; prima però salutiamo con un grande abbraccio l'uomo straordinario che abbiamo conosciuto ancora meglio rispetto alla sua prima visita da noi in Italia. Esattamente tra 4 ore saremo a Bruxelles. Che dire? Non so, oltre a quello detto in questi giorni, cosa si dovrebbe dire: solo che dobbiamo tornare perché questo popolo che John custodisce come ha fatto egregiamente con noi, ci aspetta e la speranza divampa semplicemente essendo lì tra loro. Poi dobbiamo mettere su il ristorante con la pizza. 

Ovviamente come in ogni viaggio di ritorno mi capita vicino qualcuno che sbarcherei a 12.000 metri di altezza: una matrona dietro di me che ha fatto più giri di una giostra sul sedile e ogni volta si aggrappa al mio schienale e mi sta facendo venire il mal di mare di cui non soffro; un'altro davanti ma alla mia destra, mascherina FFP2 messa di traverso e doppio elastico, suda come un cavallo ma non la toglie: sta guardando da tre ore di orologio un documentario sugli scimpanzé e la loro vita di famiglia, statico è dire poco, la gente sta fusa. Beccio, solo tu mi puoi capire. 

Comunque credo che dovrò affrontare dei cambiamenti nella mia vita e allo stesso tempo non devo dimenticare - cosa molto facile tornando alla quotidianità. Noi credo che abbiamo fatto veramente una grande cosa venendo in Sierra Leone, perché abbiamo lavorato con John e abbiamo capito ancora meglio come proseguire nell'aiutarlo.

Penso che non sono le grandi idee che cambiano il mondo, ma serve la sicurezza nel cuore per nutrire la speranza perché l'assenza di speranza è nemica di ogni cosa, la speranza ci consente di andare avanti anche quando la realtà viene distorta da chi ha il potere.

Le regole di John che ho assimilato guardandolo:

1) dare sempre una speranza senza mollare mai anche a chi apparentemente non lo meriterebbe; 

2) non facciamo promesse ma siamo sempre  pronti ad aiutare;

3) non siamo una ONG che dà soldi per tirarvi via dagli impicci o dalla fame;  

3) capire qual è il problema e spendere del tempo per capirlo; 

4) portare le persone a fare dei ragionamenti buoni per la propria vita;

5) non esiste una via facile per vivere e per risolvere i problemi;

6) mettere del proprio nella realizzazione dei progetti e una buona educazione sono la chiave del successo; 

7) la comunità è fondamentale per vivere; 

8) lavorare sempre insieme come una squadra;

9) quando possibile ci devono essere dei momenti di riposo con la famiglia;  

10) la società si cambia partendo dalle piccole cose e dagli ultimi.

Ciccio

mercoledì, settembre 20, 2023

Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 7.

19/09/2023

Questa giornata si chiamerà "Continuare nell'ordinario è straordinario". 

Oggi abbiamo promesso a Millicent di aiutare per il pranzo della scuola per la visita dell'arcivescovo e la sveglia è alle 05.45 per tagliare una catasta di cipolle, carote e verza; è bellissimo perché man mano che si procede nel lavoro ogni tanto arriva una donna per dare una mano. A quell'ora ci sono anche i bimbi di due anni che ci ronzano attorno e si rendono utili come possono. Cucina stile africana, all'aperto sul fuoco.



Verso le 07.45 facciamo colazione e partiamo per la scuola in attesa del vescovo, che potrebbe dire la messa oppure non dirla, ci dice il cappellano padre Abu. Sua Eccellenza ha un piccolo ritardo (circa un'ora e mezza) e mentre aspettiamo una maestra bravissima intrattiene i bambini facendoli cantare dal posto. Ci sono delle letture e delle benedizioni, anche noi veniamo chiamati per il rito. L'arcivescovo parla spesso con i giovani e dice che il futuro di questi ragazzi sono i genitori, rivolgendosi ai presenti, perché se loro crederanno in questa scuola i loro figli avranno un futuro, questo paese avrà un futuro e questi ragazzi un giorno potranno trasmettere alle generazioni future quello che hanno imparato e questa cosa sarà sempre viva. In fondo, insieme ai suoi ragazzi c'è anche Philip (il fabbro), Tamba invece è a Kono per aggiustare un'auto. Molte testimonianze, anche dei ragazzi: mi colpisce la mamma di un bambino che dice, che proseguendo nell'ordinario si raggiungono cose straordinarie: "mio figlio avrà delle opportunità. All'inizio, parlando con mio marito ho detto che avrei mandato nostro figlio alla Chesterton, lui non voleva, ma ho parlato di tutte le risorse che nostro figlio avrebbe avuto e si è convinto. Oggi sa leggere, scrivere e fare i conti... sapete, penso che l'educazione sia la chiave del successo".


L'arcivescovo benedice anche la scuola e ci dirigiamo verso l'ingresso della sala dedicata a Caldecott per i tagli dei nastri, tre per l'esattezza: uno per il vescovo, uno per i capi tribù e il terzo è per noi. Scendiamo nella sala e John spiega all'arcivescovo i personaggi sul muro, sul fondo della stanza questo pazzo uomo ci ha fatto una stampa fotografica e l'ha appesa con i nostri nomi sotto, sono commosso. "The Pioneer". Da quando siamo arrivati ci dice che lo avrebbe fatto, ma non pensavo così presto, e in un'occasione così bella. Il vero spettacolo avviene ora e, dopo i saluti, il musicista della scuola ci canta l'inno dedicato ad essa, spettacolare, molti si alzano e gli gettano soldi ai piedi, praticamente capiamo che con questa iniziativa lui raccoglie i soldi per andare a scuola. È la volta di una ragazzina e via così, musica ad un volume pazzesco, tutto molto bello. Finita la cerimonia, ormai appesi al muro delle celebrità ci prestiamo a balli e solo centocinquantamila foto col singolo e di gruppo; siamo anche contenti perché ci godiamo un attimino di gloria e cerchiamo di conoscere tutti. John è un personaggio fantastico, innamorato della sua scuola, della sua famiglia, e questo traspare molto chiaramente. Lui è stato veramente contento di averci qui e in tantissimi ci dicono che la nostra presenza sarà utile a molti. Pranziamo ed oltre alla birra adesso iniziamo anche con il vino, padre Abu dice che inizieranno con la passata non è uno scherzo. Devo fare uno schemino per capire come si procede. Molti bambini ci stanno appiccicati come cozze allo scoglio e non ci mollano.





Verso le 16.00 torniamo a casa, e John ci dice che faremo una grigliata di capra, l'ultima che è rimasta, ci saranno anche padre Abu e Alex, un militare che porta le figlie a scuola. John, quando siamo intorno al tavolo, ci dice che vuole ringraziare Alex per aver lavorato per noi. Non capiamo, poi ci dice che lunedì scorso c'è stata una crisi della popolazione a livello nazionale quindi, "prima che arrivaste, Alex mi chiede dove sarebbe stato il vostro alloggio, un hotel da un nome strano...". Alex dice a John che non può essere per la nostra sicurezza, cosa fare? "Gli amici Italiani hanno già comprato il biglietto", poi il lampo di genio, e John dice: "li farò stare a casa mia... Alex mi scruta e mi dice: 'porterai veramente tre bianchi a casa tua?' Sì, e ho fatto ripitturare tutta casa per voi". Poi John aggiunge: "Alex e i suoi militari hanno pattugliato il quartiere intorno a casa nostra tutta la notte e per tutta la vostra permanenza". Ah, interessante... 



La cena è come al solito un momento di famiglia: si ride, si scherza, ma ad un certo punto arriva il momento per alcuni di salutarsi, domani non ci rivedremo. In questo posto si piange spesso per la commozione ma ad un certo punto le storie, anche quelle più belle devono avere un esito, e il nostro è tornare e raccontare a tutti quello che abbiamo visto e toccato con mano.



John Kanu ci aspetta sempre a braccia aperte, anzi, presto verrà in Italia con tutta la sua famiglia: preparatevi, amici.

Ciccio

martedì, settembre 19, 2023

Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 6.

18/09/2023.

Gli italiani in cucina alle prese
con i mezzi africani...


Questa giornata si chiamerà famiglia. 

Oggi ci siamo svegliati con calma, sempre verso le 07.45; il programma è di andare a scuola per spostare "il rinoceronte" dal piazzale alla sua vera casa e poi fare il giro della penisola e nel pomeriggio incontrare i ragazzi per parlare con loro in aula magna e raccontare della nostra scuola. Al nostro arrivo si raduna una schiera di giovani amici di Philip (il fabbro) che vengono a dare una mano a spostare il gruppo elettrogeno. La forza lavoro non manca ma l'impresa non è facile: il peso della bestia è notevole e deve scendere per una discesa ripidissima fuori dal cancello della scuola, per poi fare il giro dell'isolato verso la strada principale, per poi risalire per qualche decina di metri in una casupola costruita apposta per lui. Quello che mi preoccupa è la corta ma ripida discesa fuori dal cortile che termina in un piccolo fosso per lo scolo dell'acqua: stanotte e stamattina ha piovuto, c'è tantissimo fango ma questi ragazzi sembrano determinati e talmente sicuri di sé che affrontiamo il salto nel vuoto, anche perché ora che lavorano e urlano tra loro si può capire solo la gestualità, non la lingua o il dialetto tribale. John è tranquillo e ci fidiamo, io penso che qualcuno finirà male, Giorgio aziona il freno meccanico e Kevin fa quello che può. Tutto finisce per il meglio, non si può spiegare un'azione di questo tipo in questo paese, lo abbiamo fatto e basta.




Tornando dentro la scuola Millicent ci consiglia un cambio di programma: se aspettiamo dopo la scuola, i ragazzi se ne andranno tutti perché è brutto tempo, meglio incontrarli ora. Così sia. Nell'aula magna dedicata a Caldecott molti ragazzi, l'enorme stanza è piena e noi sul piano rialzato dietro ad un tavolo stile conferenza ci presentiamo e poi iniziamo a parlare della nostra scuola; sono tutti molto entusiasti e alla fine vengono per farci molte domande. Una tra tante è come possiamo dire che le nostre scuole sono uguali. Rispondiamo: perché condividono un'ideale. John alla fine riprende questo concetto per chiudere e salutare e dice che le nostre scuole sono uguali perché credono nella salvaguardia della famiglia e della comunità. 



Ora si parte veramente, con noi anche il cappellano della scuola nominato dall'arcivescovo. Il giro di tutta la penisola ci aspetta, ma prima ci fermiamo da Bread Avenue, un posto che quasi stona in mezzo alla situazione del paese, edificato dai turchi e concesso dal governo come una sfida per portare un po' di turismo in una parte della città che sembra dimenticata da Dio. Non male come idea, dice John. Beviamo un caffè vero e si riparte. Il giro è fantastico: si passa al porto dove sono stati scaricati i due container che abbiamo mandato. Lì, purtroppo, si vede il simbolo di una delle sconfitte di questo paese: la prima università della Sierra Leone costruita dagli inglesi nel 1800 ma ormai abbandonata, un edificio magnifico. La città versa in condizioni pietose, purtroppo: una città che dovrebbe contenere un milione di persone ne contiene almeno quattro milioni e la maggior parte senza tetto o che vivono in baracche di qualche metro quadro, bambini non scolarizzati ovunque e nessuno se ne preoccupa. Vediamo la città anche dall'alto, è impressionate. Lo scorso anno è scesa una valanga di fango dalla collina per le troppe piogge e mille persone che erano nelle baracche sono morte. Andiamo verso Lumley Beach, dove il tenore di vita migliora un pochino. Siamo alla ricerca di Gigi Bontà, l'attività di Luca Coccia, un nostro amico italiano che ha anche un orfanotrofio, e la troviamo subito. Siamo in riva all'oceano, ci fermiamo per un una birretta. 



Ormai sono le 16.00 il giro è lungo ma la grande città con le miriadi di moto che viaggiano anche contromano, persone a piedi che attraversano a tradimento e venditori ambulanti di ogni tipo. Il nostro pick up sembra un pesce immerso nella corrente del Golfo che nuota insieme a centomila altri pesci che vanno ognuno per conto suo. Da Gigi Bontà John parla ancora del distributismo e di come vorrebbe l'aiuto degli italiani per costruire un forno, fare la pizza e il pane per i suoi poveri: eccoci! E la storia della nostra pizzeria ci calza a pennello (ora, Beccio, sei conosciuto anche in Sierra Leone). John vuole noi, inizia a dirci anche di voler fare un piccolo giro di prodotti alimentari e materie prime, parliamo del grano e del suo impianto qui e dei pomodori con cui vorrebbe fare la passata. Spiego il procedimento per fare la passata e dico che innanzitutto bisogna bere moltissima birra ("very good") perché così possiamo riutilizzare le bottiglie per inserire il prodotto e per questo non c'è problema, solo oggi ne ho bevuto un gallone. Dico che siamo alla chiusura del cerchio del distributismo, e John si eccita. Una foto al mare e si ritorna a casa, parliamo di tantissime altre cose, sembra una fantastica domenica in famiglia. 



Quando finalmente "wi go bocue for your home" ci accorgiamo che moltissime persone tra professori, amici e anche bambini sono accorsi per preparare il pranzo di domani con l'arcivescovo e tutta la scuola, manca una delle capre a casa Kanu; era un dono del villaggio di Kabonka per il nostro arrivo. È tutto molto bello, stanno preparando la carne da insaporire con le spezie. Ieri sera abbiamo passato una splendida serata  mangiando insieme e cucinando per loro. Stasera la cena è più spartana, sono tutti impegnati per la giornata di domani: siamo noi, John e il cappellano, e il discorso finisce sulle impressioni personali di ognuno. Il cappellano ci dice che nella vita ha avuto momenti difficili perché in questo paese non è facile, e a volte la speranza si perde, ma il nostro arrivo ha riacceso il coraggio di proseguire perché ora sa che ci sono degli amici di John che possono aiutare questo popolo a cambiare. Noi siamo più concentrati sul ringraziare la famiglia Kanu per l'ospitalità e per averci fatto vivere questa fantastica esperienza che sarà l'inizio di una grande collaborazione e scambio di solidarietà tra le nostre opere. John ci dice le sue tre impressioni su di noi, ieri mentre mi coricavo ci pensavo e vi dico che: 

1) siete pazzi

2) siete coraggiosi 

3) siamo gli amici più sinceri che abbia mai conosciuto nella sua vita. E ci spiega il perché: in questo momento per noi è come essere fuori dal tempo perché abbiamo visto l'Africa con gli occhi di John (e ringrazio Dio, altrimenti non avrei fatto una così rigenerante esperienza) ma lui ci dice che non credeva che saremmo venuti nemmeno quando Sermarini gli ha comunicato questa notizia, nemmeno quando Kevin gli ha comunicato questa notizia, questo perché il lunedì precedente al nostro arrivo ci sono stati degli scioperi pazzeschi e ancora siamo a rischio dello scoppio di una guerra civile, il clima è veramente teso e precario. Continua: sì, siete pazzi, perché potreste bere acqua contaminata e stare male, essere punti da una zanzara e contrarre la malaria, andare nella giungla ed essere morsi da un serpente velenoso o fare un incidente (e vi assicuro che questo è facilissimo), siete pazzi a venire in Sierra Leone. Siete coraggiosi e siete le persone piú sincere che abbiamo mai conosciuto. 



Non ho potuto fare a meno di pensare ad una similitudine con l'"Enrico V":

«Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? 

No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria.

In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio.

Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.

Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravvivrà quest’oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano.

Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: “Domani è San Crispino”; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: “Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino”. Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav’uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest’oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; 

noi pochi.

Noi felici, pochi.

Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!».

Sì, perché se non combattiamo per queste cose non siamo degni di tutto quello che abbiamo ricevuto in questi giorni.

Credo che non torneranno a San Benedetto le stesse persone che sono partite e spero che Dio ci aiuti a spremere il succo di questa grandiosa esperienza e a trarne giovamento per tutta la vita. Immaginavo che sarebbe stato utile venire ma non fino a questo punto. Questo paese è un grande paradosso, come dice Chesterton. Da un lato ti verrebbe da aiutare tutti nel modo più veloce possibile, donando pochi soldi a ciascuno; dall'altro la cicatrice che ti lascia la vista della vita di questo popolo brucia troppo e verrebbe voglia di fuggire e dimenticare tutto al più presto. Ma in questo paese vive una famiglia che sta cambiando la società partendo dalle piccole cose e applicando il distributismo, una famiglia di cui noi siamo parte, che ci ha aperto le porte di casa senza pensarci due volte, che ci ha accolto e custodito, che non ha voluto che andassimo a stare negli alberghi degli europei per non mantenere le distanze, che ci ha dato persino i soldi per l'offertorio a messa come mi capita di fare qualche volta con i miei figli. John ci ha tenuto per mano ogni momento e con pazienza e anche molta fatica, per via del programma di lavoro molto intenso, ci ha guidato nel suo mondo, ora sta a noi non abbandonarlo e sostenerlo, ma soprattutto trasmettere (come lui è bravissimo a fare) quello che abbiamo colto della sua grande opera a tutti.

Ciccio

Viaggio in Sierra Leone - Diario di Bordo - 5.

17/09/2023

Questa giornata si chiamerà "Metodo". 

La chiesa di Makeni, dove fu parroco
Mons. Giorgio Biguzzi


Colazione a Kono e via verso Makeni per la messa, il viaggio in macchina è sempre molto interessante perché la nostra curiosità non si placa, vogliamo sapere tutto di quello che riguarda il SLCC e i collaboratori di John. Chiediamo di parlarci dei ragazzi che ieri ci hanno accompagnato in moto per tutta la giornata e anche il giorno precedente. John ce li elenca tutti:

Komba fa il grafico, Alfa, Emmanuel, secondo agronomo, sta imparando e sono otto anni che sta con l'associazione, Samuradavid, agronomo, è con loro da sette anni, Joshua si occupa delle costruzioni, Mohamed, Finda, Meata, che è la supervisor. Kaday è una volontaria, ci ha cucinato, e fa la nutrizionista nei villaggi, con loro da dieci anni. Questi ragazzi praticamente sono parte dei villaggi e si sono uniti all'associazione dopo che il SLCC è andato a fare la proposta di costituire la cooperativa, hanno visto qualcosa di buono e si sono proposti di aiutare ognuno a modo suo. Oggi fanno qualche lavoretto in forma privata personale e il resto del tempo viene dedicato all'associazione, una parte come volontariato, una parte con un piccolo contributo per il lavoro svolto. Sono tutti i giorni a monitorare le cooperative perché ci vivono dentro e pertanto molto del lavoro di supervisione e insegnamento delle tecniche lavorative lo fanno loro. La domanda sorge spontanea: ma John come fa ad essere così determinato e sistematico nel suo lavoro con ogni persona che incontra? Lui ci dice che non c'è una scuola per questo: si osserva, si studia il problema e si affronta non come una ONG, ma nella maniera che insegna la Chiesa Cattolica, educando le persone e avendo la pazienza di delegare ai giovani facendoli sbagliare e sbagliare e sbagliare, così loro faranno esperienza e impareranno dagli errori. Questo è quello che ci insegna anche la nostra compagnia ed è il modo cui Federica e Marco ci hanno cresciuto. La cosa difficile per noi è metterlo in pratica. 



John nel tempo, è divenuto molto conosciuto e ci dice che ha ricevuto un'offerta da un associazione cattolica inglese per trasferirsi in Etiopia e fare questo lavoro e seguire tutte le loro opere alla sua maniera dandogli 10.000 sterline al mese di stipendio e pagandogli tutte le spese per il trasferimento ma John ha detto che la vita di Tamba, di Philip o delle persone dei villaggi vale molto di più di 100.000 sterline l'anno. Andiamo di corsa alla messa delle 10.00 a Makeni particolare.

Finita la messa andiamo a conoscere il sacerdote che ci mostra la tomba di Monsignor F. Assolini, che è stato uno dei pionieri della Sierra Leone e nel tempo che è stato qui ha fondato nove parrocchie. Nella giornata di ieri avevo chiesto se potevamo passare a vedere la scuola che frequentava John da bambino, dice di sì e nel frattempo prendiamo la strada rossa per Kabonka. Lungo la strada un'incontro importante: Robert Kanu, che è un parente di John, dice: "se oggi siamo gli uomini che siamo è grazie a questi edifici scolastici". John è commosso nel ricordare le sue origini e dice a Robert di venire a Freetown in settimana perché vuole ospitarlo a casa sua, occuparsi un pò di lui e fargli una donazione per sistemare la scuola: dice che dobbiamo sostenere quello da cui tutto è iniziato.



Proseguiamo per Kabonka passando dalla strada di terra rossa che c'è ora; all'epoca era un piccolo sentiero, i ricordi sono molti, e il suo racconto prosegue: "Facevo questa strada lunga tre miglia la mattina e alla fine della scuola, ma spesso avevo fame nel tornare a casa ed era una sfida affrontare il cammino, ma ho perseverato tutti i giorni; questi erano i miei campi, il posto dove con i miei amici andavamo a caccia di piccoli uccelli e bacche, ci arrampicavamo sugli alberi e scalavamo le montagne. Io sono molto ottimista, altrimenti se ci lamentiamo e basta i problemi rimangono. Il segreto del successo risiede in tre cose:

- Determinazione 

- Perseveranza 

- Ottimismo

Il 9 settembre 1972 ho percorso questa strada a piedi per la prima volta, nel 2002 sono tornato da Oxford e avevo comprato la mia prima macchina e la prima cosa che ho voluto fare è stata tornare a Kabonka; ho pianto vedendo quante cose Dio aveva fatto nella mia vita. Appena arriviamo vedrete una piccola clinica che ho fatto costruire appena tornato da Oxford con i soldi dei miei primi lavori"





Arriviamo finalmente a casa di John dove ci vengono incontro tutti i parenti, in vita c'è ancora uno zio, il fratello più giovane del padre, sua moglie e dei cugini; ci sediamo sotto il piccolo portico e in breve tempo siamo diventati trenta, John porta i nostri saluti a tutti e ricorda loro i tempi in cui tornato dall'Italia aveva portato dei vestiti: beh, erano le nostre donazioni. Al villaggio non si parla piú il Krio ma il Limba, una lingua tribale propria di quella gente e non comprensibile nel resto del paese. Quello che ci colpisce è che in questo villaggio nessuno ci chiede nulla, non ci parlano dei problemi legati al lavoro, al bisogno di aiuti umanitari, ma lo zio di John chiede di pregare insieme per la nostra amicizia. Poi iniziano i racconti dell'infanzia: dicono che il nostro amico era uno scavezzacollo, si arrampicava ovunque, spesso rovinando i raccolti della frutta perché la faceva cadere quando non era matura, un giorno, dice lo zio, cadde da un albero e si fece una brutta cicatrice sul mento, non sapevamo se poteva guarire. I racconti vengono ripetuti sempre tre volte, prima vengono detti in lingua locale, poi tradotti in inglese e poi in italiano ma nulla è noioso, anzi. Uno dei cugini ci dice che John era un piccolo capo perché "ci mandava a raccogliere la frutta per lui e ci diceva di non dire nulla quando saltava la scuola sennò ci avrebbe picchiato". Una persona molto determinante nella sua vita fu appunto la nonna materna che era molto severa, e lo zio che quando si accorgeva che le assenze da scuola diventavano molte lo riprendeva e lo correggeva. Avremmo potuto ascoltare per ore, ma dobbiamo rientrare a casa, Millicent ci aspetta e stasera abbiamo proposto di cucinare italiano, quindi facciamo un giro del villaggio fino alla casa del capo passando per la foresta, alberi di cacao a non finire, palme di ogni specie e il maestoso albero Kapoc dalla circonferenza basale impressionante, molto particolare anche nelle terminazioni radicali. Da questo si ricava una specie di cotone che  utilizzano per le imbottiture dei materassi; vorrei capire come lo raccolgono, visto che parliamo di un albero che va dai trenta ai cinquanta metri di altezza. Prima di partire ci offrono una bevanda locale chiamata vino di palma, che si ottiene come lo sciroppo d'acero, mettendo delle taniche di plastica sotto la chioma della palma, facendo un'incisione e aspettando che il succo scenda al suo interno. Con questo abbiamo raggiunto l'apice, abbiamo fatto tutto quello che ci avevano sconsigliato di fare i nostri amici italiani, manca solo da iniziare a bere l'acqua del rubinetto. 



Arrivati a casa tutti ci aspettano come dei figli che non vedevano da anni e anche noi siamo felici, Giovanni cambia tutte le lenzuola dei nostri letti e John Musa ci chiede i vestiti sporchi e le scarpe per poterli lavare: sono delle persone straordinarie. Ed eccoci alla cena, ovviamente in stile africano perché sennò come facciamo a farci male? Stile africano vuol dire che si cucina sul carbone su una specie di braciere basso; il menù prevedeva di fare una carbonara ma non siamo riusciti a fare spesa e ripieghiamo su una aglio, olio e peperoncino, frittata con cipolle e "salsiccia" in padella. Durante la preparazione i ragazzi e Millicent fanno dei video dicendo: "ecco i miei cuochi italiani", tutto molto esilarante, l'atmosfera è veramente di una famiglia in festa. Ricordatevi che tutto questo si fa senza l'utilizzo della corrente elettrica e quindi quando inizia a fare buio si cucina con le torce. La famiglia è al completo, c'è anche Charles, il figlio più grande che è sposato. Si mangia e tutti sembrano apprezzare; spieghiamo che questo piatto in Italia è il piatto dello stare in compagnia nei momenti di festa e di facile realizzazione. 

La serata prosegue raccontando le avventure della giungla ma anche del periodo della loro vita che hanno passato in Inghilterra, cosa di cui forse non avevamo mai parlato tutti insieme. Anche Charles è molto interessato perché all'epoca era piccolo; forse abbiamo riacceso qualche piccolo fuoco di cui non avevano mai avuto modo di parlare. 

John ad un certo punto ci saluta, è molto stanco, ha guidato per ore e centinaia di chilometri, ma noi continuiamo a stare insieme a parlare delle nostre famiglie, del lavoro di ciò che ci piace, dell'olio di oliva che Millicent vuole provare, ci scambiamo i contatti e quando le forze vengono a mancare andiamo tutti a nanna.

Ciccio

lunedì, settembre 18, 2023

Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 4.

16/09/2023

Questa giornata si chiamerà "Take your boot", come abbiamo sentito tra un discorso e un altro ieri mentre John parlava con i suoi collaboratori...

La sede del Sierra Leone Chesterton Center

Ricapitoliamo, quindi: abbiamo fatto, nella giornata di ieri, circa due ore di macchina da Freetown a Makeni per incontrare il giovane imprenditore italiano, e altre due circa per arrivare a Kono, il resto già lo sapete; oggi si parte per visitare le cooperative, praticamente stiamo facendo la settimana lavorativa di John, tralasciando che la notte lui scrive i progetti per la Banca Mondiale.  

Finalmente la strada diventa rossa e veramente dissestata; ora siamo nella giungla dove in ogni caso tutto risulta molto più pulito e ordinato rispetto alla città, anche se la povertà rimane la stessa. Nei villaggi esiste una vera dignità di vita, c'è un capo tribù che ha un grande potere sui membri del villaggio e sulla terra. Tutti hanno una casa anche se fatta a volte di terra e con il tetto di paglia, le migliori con il tetto in lamiera zincata. Fortuna che John ha un pick-up Toyota che fa paura, passa nelle pozzanghere con mezzo metro di acqua e fango, si ferma, mette il suo differenziale, oltrepassa il guado, sblocca e riparte a tutta, ed è anche un ottimo pilota. Dice che questo tragitto che vi ho descritto in parte lui lo fa una volta la settimana per incontrare i membri delle cooperative.

Un campo di riso. Su quella specie di capanna
c'è un bambino che fa rumore con due pentole
non appena si avvicinano gli uccelli


Nel primo villaggio incontriamo una donna membro del consiglio di amministrazione del SLCC  e capo di una  delle cooperative, che quando vede John inizia a volare per la contentezza. Lui voleva farle una sorpresa. Ci racconta la storia della sua cooperativa.

Ecco che succede quando John arriva nei villaggi.


Seconda cooperativa: il magazzino è migliore del posto dove vivono, ha un tetto in lamiera e le pareti in mattoni intonacati, si percepisce che non è un problema perché è più importante conservare bene  il loro cibo e il frutto del loro lavoro e che permette loro di avere una piccola dignità. Con i soldi che riescono a risparmiare nella cooperativa mandano i bambini a scuola e stanno decidendo di mandare qualcuno all'università. Tutti chiedono a John un miglioramento delle condizioni lavorative o dei magazzini, e lui in questo caso dice: "Fatemi vedere che tenete a ciò che abbiamo già costruito (il magazzino per il mais, ndr) verniciandolo e mettendo la scritta sul timpano e io mi impegno a farvi il pavimento per l'essiccazione".

Ecco il magazzino, è l'equivalente
delle antiche grance monastiche
benedettine della nostra Europa
dell'alto medioevo


Abbiamo ribattezzato molte persone, uno è il braccio destro di John e si chiama James, per noi è Gandalf. Noi ci facciamo ore nella macchina e tragitti a piedi nella giungla e quando arriviamo lui è lì che aiuta il popolo con il machete a pulire i terreni. Torniamo al Chesterton Center e lui è giá in ufficio, fresco come una rosa, visitiamo una nuova cooperativa e lui è lì... pazzesco, lo abbiamo detto anche a John e lui ci dice che è un'ottimo organizzatore.

Ciccio con Sama David.
Per arrivare nei villaggi a volte non
basta nemmeno il pick up di John,
ed allora ecco le moto
e spesso anche i piedi.


Il successivo è il villaggio di Masundu, il pick up deve però fermarsi, c'è un fiume bello largo e anche impetuoso, un ponte fatto con assi di legno che si piegano sotto i piedi e passiamo dall'altra parte comprese le moto dei collaboratori di John, che ci accompagnano per tutto il viaggio. Ora ci dicono di salire sulla moto, perché altrimenti a piedi ci vuole troppo ma davanti a noi c'è una salita veramente ripida: qui abbiamo rischiato di perdere il nostro pioniere americano, la pendenza e il peso di due persone hanno fatto ribaltare la moto all'indietro e tutti già per terra. Niente di grave, si sale a piedi e appena finita la salita eccoci di nuovo a bordo. Io sono con Sama David (l'agronomo), un vero asso, sfreccia su un sentiero di appena 50/60 centimetri a circa 60 Km orari, erba alta e pozze di fango e acqua, senza quasi mai mettere il piede a terra e con 100 kg dietro di lui. Dopo dieci minuti di moto arriviamo al villaggio, David mi scarica e torna indietro a prendere qualcun altro, ecco, sono il primo, nessuno con me, davanti ad una capanna con 20 persone che parlano Krio o Pidgin English. Beh, ho pensato: tanto io non sono meglio, e mi sono presentato al capo e a qualche bimbo. Qui iniziamo a vedere come lavorano le cooperative e facciamo un pezzo a piedi fino al campo dove in parte hanno seminato ed in parte stanno pulendo, ovviamente tutto a mano con machete artigianali e la maggior parte sono donne; un campo di un ettaro di giungla pulito senza nessun mezzo meccanico e seminato a mais, due giovani cooperative si sono aggregate e stanno pulendo il nuovo terreno; presto avranno un nuovo progetto insieme che è quello di costruire la strada tra i due villaggi. Le donne dicono di poterlo fare in quaranta giorni. John dice: "Sarò di ritorno e se non sarà fatto ve ne chiederò il perché". La modalità del SLCC è sempre la stessa: se i diretti interessati che aderiscono al progetto dimostrano di fare qualcosa per migliore le condizioni lavorative o di ottenere più raccolto, loro aiuteranno.

Ecco gli incontri nei villaggi: si progetta, si orienta,
si rimprovera, si esorta, si dà vera speranza.

Dopo esserci presentati e aver detto cosa facciamo, siamo tornati al villaggio e abbiamo assistito a una lezione di alfabetizzazione degli adulti. Indovinate chi compare come insegnante? Mr. James, è un grande. Praticamente chiede a tutta la classe - circa 40 persone - di dirgli delle parole legate a qualche contesto: sono diverse, tutte con la P; insegna come si pronuncia, come si dice la parola poi chiede di trovare sul libro che hanno delle parole con la P. Gira la lavagna di legno e dietro c'è una piccola storiella scritta con le parole della P che lui fa leggere agli studenti ad alta voce. La storiella è su una ragazza di nome Princess, ha una morale perché è una ragazza che é stata amata dal suo professore ed è rimasta incinta. Dopo aver fatto leggere e trovare alla lavagna le varie P, fanno un discorso studiando il significato della frase stessa. Meata (la supervisor) prepara le lezioni e monitora le cooperative nel lavoro dei campi. Ci sono, nelle trenta cooperative, cinque gruppi di lavoro dove si inizia ad essere alfabetizzati. Molti dei capi delle cooperative ci dicono che sono contentissimi di questo perché prima non sapevano né leggere né scrivere e ora stanno iniziando a farlo, e se usano il cellulare possono cercare i loro parenti sulla rubrica e contattarli. Altri dicono di saper scrivere i numeri. Dopo una nostra breve testimonianza sull'importanza del lavoro della famiglia e della comunità riprendiamo la strada per il ritorno in macchina. 

Ecco l'alfabetizzazione.


Io ho cercato di fare capire loro, tramite Kelvin (ormai tutti lo chiamano così) che i problemi ci sono anche in Italia e forse anche di più grandi rispetto ai loro: noi abbiamo molte comodità e troppi svaghi che ci rendono spesso insoddisfatti e non docili, spocchiosi e non necessariamente bisognosi di qualcosa, tanto che se non ci piace il lavoro che abbiamo o le regole che si devono rispettare alziamo i tacchi e ce ne andiamo. Riflettendo su questa cosa in macchina dicevamo che per noi educatori In Italia è veramente difficile: a volte perché si lavora con persone viziate, nessuno escluso, in un sistema dove è presente ogni comodità, ogni modo di sopravvivere anche stando su un divano, lasciandosi scorrere la vita addosso e bene o male alla fine si mangia pure qualcosa a pranzo e a cena senza alcuno sforzo o senza che qualcuno ci sproni a muoverci per contribuire al bene comune o della famiglia. Quando invece i bisogni vitali sono ridotti ai minimi termini bisogna fare qualcosa per cambiare la propria condizione, e quando qualcuno ti fa una proposta come quella di John non si può rifiutare, si è contenti e pieni di gratitudine verso chi ti dà la possibilità di uscire da quella condizione. Da noi, e penso a diverse facce, non c'è un bisogno primario, lavorare è come fare un piacere a qualcuno, pertanto inizia tutta una serie di nostri calcoli mentali su quanto guadagnerò, quale sarà il mio orario di lavoro, quanto tempo mi rimarrà per me stesso, cosa devo spendere per... o a cosa devo rinunciare del mio per fare questo e ingrassare i padroni etc. etc... Potrei fare mille esempi ma il punto rimane: se in testa nostra non riteniamo che il bilancio costi-benefici non valga la pena, beh, allora possiamo starcene anche sul divano ché si fatica poco, la corrente per la tv qualcuno la paga e alla fine della mia giornata mangerò anche. Per le persone che abbiamo incontrato non è cosi, devono costruire la propria vita (e non parlo di comprarsi la TV, le famiglie hanno tutte molti figli, non sanno che farsene della TV) e per farlo devono muoversi, forse non tutti lavoreranno fino a spaccarsi le mani per ripulire la foresta e avere un campo da coltivare ma ognuno fa qualcosa per il bene del villaggio, e devo dire che ho visto poche persone senza fare nulla.

L'ultima cooperativa che visitiamo è quella di Masayanday che in lingua locale vuol dire: "sostenersi sulle proprie gambe". Conosciamo Peter che ha un gruppo di diciotto persone (non poche, ma si può migliorare) e ci dice che hanno molti bisogni: vorrebbero un trattore per non stancarsi troppo e facilitare il lavoro alle donne. Qui John inizia il suo lavoro facendogli capire che le loro richieste non sono centrate sul problema: il trattore dove siamo arrivati noi a piedi non sarebbe utile, sarebbe un mezzo che, una volta guasto, nessuno saprebbe riparare, un mezzo che consuma molte migliaia di leoni di gasolio, quindi la domanda si ripropone: "Peter qual'é il vero problema?". E ad un certo punto John dice: "Peter, dove sono i tuoi giovani? Perché non sono qui ad aiutare? Basterebbe che tu raccontassi loro il successo del raccolto dello scorso anno". E lui in mezzo ad un incontro che possiamo definire di lavoro, con degli europei che ascoltano, l'unica cosa che dice è: "John, hai ragione, preghiamo perché possiamo riuscire a fare quello che ci hai fatto capire e per i nostri giovani", e abbiamo pregato tutti insieme. Adesso immaginatevi la stessa situazione lavorativa in Italia, con il responsabile del servizio che vi cazzia davanti a tre perfetti sconosciuti e ditemi: come avremmo reagito noi Tipi Loschi, o anche i dipendenti delle cooperative? 

Ormai è quasi sera e oggi abbiamo mangiato tre banane verdi e quindi crude (per poi sputarle), mentre dietro di noi i locali, ridevano nel vederci spelare ma non ci hanno detto nulla (il platano verde va cucinato). La fame si fa sentire sugli scalini del SLCC

I bimbi nei villaggi. Povertà ma grande dignità
e ordine.

che ti spezzano le gambe perché non ce n'è uno uguale all'altro: più alto, più basso, che pende in avanti o che pende all'indietro, qui c'è molta volontà ma poca precisione. Salutiamo e ringraziamo i collaboratori in moto e mangiamo con John alle 18.30, è un'ottima cena, e parliamo del prossimo progetto che vorremo scrivere per lui e ci accorgiamo che dietro la scuola lui sta costruendo un nuovo edificio per i laboratori tecnici: meccanica, saldatura, elettricisti, alberghiero (con il ristorante di Millicent, la moglie di John) e al piano di sopra una stanza multifunzionale per ospitare i formatori che dovranno venire dall'Italia, secondo John due o tre volte l'anno. Spettacolare per la riuscita del nuovo progetto. L'arcivescovo gli ha chiesto inoltre di iniziare un centro vocazionale. 

Per oggi abbiamo dato, inizia anche a piovere, buonanotte.

Ciccio

domenica, settembre 17, 2023

Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 3.

15/09/2023.

Questo viaggio sta entrando nel vivo già dalla colazione, John ci anticipa la giornata e ci racconta che andremo a Kono, il distretto dove lavora abitualmente il SLCC (Sierra Leone Chesterton Center, ndr) che si trova nella parte centro orientale del paese, ma la cosa interessante è la storia che ci porta lì, perché qualche settimana fa John, dopo due anni di tentativi è riuscito a conoscere un italiano che ha un grosso allevamento di polli, ma compra il mais dalla Guinea o dall'Europa e spende anche fino a 40.000 dollari l'anno per questo. John ha visto un'opportunita in quest'uomo, è partito ed è andato a conoscerlo. Questo perché nelle sue cooperative il nostro eroe ha condotto una lotta con le comunità per farle iniziare a coltivare mais: prima era solo riso perché loro mangiano solo riso, e ha spiegato a chi obiettava che il mais può essere coltivato per essere venduto al mercato per avere dei soldi che possono servire per una vita migliore e per mandare i figli a scuola. In breve tempo purtroppo il mercato è diventato saturo e il mais si è svalutato facendo scendere la produzione. John che immaginava già chi avrebbe incontrato con il suo viaggio, ha preparato uno studio sulle quantità di mais che le sue cooperative avrebbero potuto produrre in un'anno, all'incirca 80 tonnellate. Immaginate adesso un grosso imprenditore italiano con la sua attività in Sierra Leone che incontra un uomo del posto che gli vuole parlare di una collaborazione lavorativa. John si è accorto che l'italiano era un po' scettico e che da buon capitalista ha iniziato a fargli dei conti in tasca per poter risparmiare, dicendo a John che non sarebbe stato possibile tutto quel raccolto, ha forse percepito - sbagliando - che John potesse essere un imprenditore che vuole fare soldi con il mais, ma il nostro eroe ha spiegato con calma che il suo business non sono né i soldi né il mais ma aiutare le famiglie ad avere una vita comunitaria, ad avere un lavoro e ad avere il necessario per permettere ai figli di crescere e sostenersi sulle proprie gambe. La carta vincente però non era ancora stata scoperta...

Prima di partire per Kono passiamo sempre a scuola e andiamo finalmente a piedi a vedere un'altro "garage" - come li chiama lui - dove conosciamo Philip il fabbro, 29 anni: non aveva nulla e anche grazie ai nostri attrezzi (quelli che mandammo in un container nel 2016, vedi qui sul blog e sul blog della Società Chestertoniana Italiana, http://uomovivo.blogspot.com) ora ha un lavoro stabile e dodici ragazzi dipendenti; si trova proprio davanti la scuola, anche lui è senza corrente, infatti utilizza una saldatrice a motore diesel. Lui e altri due vivono nella baracca dove lavorano, niente acqua, niente sedie né tavoli, niente di niente se non il proprio lavoro ma lui è fiero. Era un ragazzo uscito dalla scuola, che ha iniziato a lavorare presso un fabbro e poi ha intrapreso la sua attività, la proposta che di solito fa John è: se mi prendi qualche ragazzo e gli insegni il mestiere, io ti dono gli attrezzi. Molte delle cose mandate da noi con il primo container erano lì. Abbiamo raccontato a a Philip la nostra storia e quello che facciamo ed è  stato contento di conoscerci.

Il nostro rispettatissimo director.

Mentre scrivo siamo arrivati a Makeni (diocesi fondata negli anni '60 i cui primi due vescovi sono stati due italiani, padri saveriani, ndr), qui è stato vescovo monsignor Giorgio Biguzzi (fu ospite della nostra festa del beato Pier Giorgio Frassati nel 2004, subito dopo la fine della guerra civile in Sierra Leone, ndr). Molte missioni e una mega scuola fatta dagli italiani molto bella, John dice che è la migliore scuola del Nord. Su una delle miriadi di TVS (moto di fabbricazione indiana), passa il nostro uomo bianco che ci dice di seguirlo nella sua azienda. L'italiano è un bravo ragazzo che si trova a Makeni da quattro anni e ha tirato su un'azienda per produrre e vendere uova; ha iniziato questo lavoro e lo sta portando avanti anche molto bene, ma la nostra impressione è che sia molto immerso nel capitalismo. Ci fa fare il giro dell'azienda e poi andiamo, John ha molto altro da farci vedere prima del momento serale al SLCC dove sarà con noi anche il giovane imprenditore italiano.

L'eroico pick up del SLCC

Lungo la strada principale ci fermiamo in un villaggio già nel distretto di Kono dove abbiamo visto il mercato costruito dai capi delle tribù che hanno aderito al progetto di fondare una cooperativa. Il funzionamento del progetto è questo: per ogni nuovo gruppo che viene coinvolto, si va dal capo tribù e lì il SLCC spiega chi sono e cosa fanno, poi chiedono cosa pensano loro dei bisogni del villaggio; il SLCC aiuta solo chi vuole creare una comunità e quindi unirsi in cooperative. Se la proposta piace, convincono i capi a dare la terra alle donne (esattamente tre acri, vi ricorda qualcosa..?) perché sono la categoria più a rischio. Si incontrano, viene costituita la cooperativa con tutte le regole, il numero di lavoratori (di solito trentacinque), gli orari lavorativi e tutto il resto, si apre anche un conto in banca per i ricavi. Quando è tutto costituito arrivano i nostri a portare aiuto con le attrezzature per lavorare la terra oppure con i macchinari per costruire una strada di accesso al villaggio e tutti volontariamente danno una mano perché capiscono che questo è per loro. Il SLCC non possiede denaro per sé ma, quando ha individuato il bisogno primario, inizia a cercare i fondi. Dove siamo stati noi si è arrivati a costruire il mercato, che funziona tutti i martedì, è dotato di mulino per il riso e vi vengono portati tutti i frutti del lavoro dei campi per essere venduti. Molto spesso è baratto, ma c'è anche chi viene da fuori per acquistare, oppure chi, pur non facendo parte della cooperativa, intravede un'opportunità per vendere del proprio, come vestiti o pesce. Hanno costruito fin ora dodici mercati nelle tribù che sono diventate cooperative. Sul timpano del tetto del mercato c'è sempre la foto di Chesterton e il nome delle tribù che governano il posto. Quando intraprendono la costruzione del mercato chiedono aiuto a tutto il villaggio e ognuno mette del suo.

Il mercato delle tribù a Kono,
nato grazie anche al nostro contributo.

In visita a Makeni con il nostro Kevin

Il bello viene ora: quando si costituisce una cooperativa, il SLCC monitora spesso il suo operato, ma appena si accorge che nel tempo sono diventati autonomi, lasciano tutto nelle loro mani e passano al prossimo villaggio da aiutare. John non intraprende mai un lavoro del genere se non è in grado di sostenerlo fino al momento della loro autonomia. Le giornate qui sembrano lunghe il doppio che da noi ma sono contento di questo programma che John ha fatto per noi perché è calibrato esattamente per rispondere alle molte domande che gli facciamo quando siamo in macchina e a cui lui non dà sempre risposta perché ci dice: vedrete con i vostri occhi.

Il nostro Ciccio nella giungla di Kono

I caratteri hanno riempito di nuovo la pagina e devo rimediare spostando il testo in un nuovo documento. Ormai sono le 19.30 e siamo davanti alla sede del SLCC dove il "colpo di stato" del nostro stratega è pronto: ci siamo noi, con la nostra storia, due capi delle cooperative donne, due capi tribù molto anziani, credo della prima ora, il loro agronomo, il giovane imprenditore italiano e il suo autista (identico a Mike Tyson con un vestito tradizionale a dir poco magnifico) che dormiranno con noi in hotel, tutto spesato da John ovviamente. Ho tralasciato che oggi dopo l'incontro con l'imprenditore italiano, verso le 14.00, John ha voluto sapere le nostre impressioni sulla persona incontrata, ovviamente davanti a cosa? Due birre 😂, ma stavolta ne abbiamo bevuta una, niente pranzo, non c'è spazio, è più importante lavorare per quest'opera, dice che ci rifaremo a cena. John dice che il giovane imprenditore italiano è bravo ma non ha futuro in Sierra Leone perché ha molti pregiudizi e affronta le cose alla maniera degli europei. Siamo d'accordo tanto che mi viene da consigliare di aprire il proprio allevamento di galline, ma il punto non è questo. A Makeni la corrente c'è, a Freetown no, ma non è nemmeno questo quello che sta a cuore a John, che vede l'incontro con questa realtà delle cooperative un possibilità per questa persona di convertirsi a Chesterton e di capire che nella vita si può ragionare anche in modo diverso da come ragionano tutti. Quindi appena seduti è il momento delle presentazioni e poi prima di prendere cibo ci racconta di nuovo il lavoro che fa con le cooperative, nei minimi dettagli tirando fuori anche i documenti per dimostrare quanto dice. È un uomo straordinario che, nonostante le premesse del caso, sta dando speranza anche a questo ragazzo di cambiare vita. Tutto questo è di grande insegnamento per noi e per il nostro lavoro; venire qui per fare questa esperienza è stata un'ottima modalità per rinfrescarci le idee su cosa vale la pena spendere la propria vita, sul dare sempre una speranza anche a chi non daresti un soldo, per capire che i pregiudizi distruggono tutto e che per lavorare bene insieme è fondamentale appartenere ad una comunità che si aiuta veramente.

Ecco il granturco dei nostri amici africani.

L'incontro a Kono al SLCC.


Sacchi di granturco con lo
stemma del SLCC
e l'amato faccione del nostro
caro Chesterton...

Nei giorni passati abbiamo sentito da John che un bravo insegnante non è tale se si separa dal dogma della propria fede e che questa cosa è la base di partenza per tutto. Le due cose non possono essere scisse, sono indivisibili ecco perché anche se questo giovane imprenditore italiano rimanesse qui, anche con le sue ottime capacità, non riuscirebbe ad andare avanti. 

Volete sapere come é finita la serata? Ve lo dico domani 😂😂😂😂

Scherzo, alla fine il ragazzo si è appassionato alla storia, ha ascoltato i capi tribù dire che se John ama Chesterton e questo lo fa essere così di aiuto per centinaia e centinaia di persone, beh, anche loro non possono che ringraziare questa persona e aderire alla nuova vita dopo i diamanti. Inoltre in un angolo della sala c'erano sacchi di mais accatastati, anche in malo modo, come per non dargli troppa importanza, molti dei quali aperti, vecchia volpe... Il giovane imprenditore italiano e il suo autista "Tyson" hanno più volte varcato la sala per andare a vedere il prodotto, la prima volta come cani da tartufi, quasi senza salutare nessuno e si sono convinti per un incontro a Freetown con uno dei loro principali per parlare di condizioni. Noi facevamo il tifo in silenzio mentre si svolgeva la loro conversazione e siamo usciti molto contenti per aver intuito il prosieguo della storia. Poi in macchina abbiamo chiesto a John come è andata, e lui ha semplicemente detto: "bene, il lavoro prosegue". Mi sarei aspettato un grido di esultanza per la buona riuscita del piano, ma credo che veramente sia un uomo molto umile che ha uno sguardo aperto e molto lungimirante, come dire: abbiamo vinto una piccola battaglia, abbiamo fatto il nostro lavoro, ma la strada è ancora molto lunga e piena di molte altre persone da aiutare. 

John é l'eroe nazionale della Sierra Leone.

La "bottonata", come si direbbe a San Benedetto, o pillola di Chesterton, è stata quando il giovane italiano ha detto: "ma come fate a conservare il mais così bene?", e John gli ha risposto: "Chesterton diceva di non tenere le teste troppo aperte perché il pericolo è che cada giù il cervello"...

Buona notte -- ora locale 01.35.

Ciccio

sabato, settembre 16, 2023

Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 2.

14/09/2023

Ieri si parlava di svegliarsi con calma verso le 08.30 ma io alle 06.00 ero in piedi senza l'utilizzo della sveglia, come si può dormire qui? C'è un ragazzo che si chiama John, anche lui, che John Kanu e la moglie stanno aiutando: lui apre il cancello, pulisce il piazzale, aiuta con i servizi di casa, credo mi abbia preso in simpatia, mi saluta ogni trenta secondi... 

La moglie di John e i figli, quando sono uscito dalla camera, erano già a preparare la colazione per noi, una colazione più ricca di quella dell'hotel di Bruxelles. È proprio bello stare a casa loro e vedere come sono felici di averci, mostrandoci riconoscenza nelle cose che preparano con molta cura. John durante la colazione firma una marea di cartoline verdi e, presi dalla curiosità, chiediamo cosa sono: ci dice che sono i permessi che i genitori o chi per loro devono avere quando riprendono i bambini dopo la scuola, "mica lasciamo i bimbi al primo che passa", ci dice. 

Dopo la colazione saliamo al piano di sopra, in terrazza, e John vuole raccontarci bene chi è e come è arrivato ad essere l'uomo che è diventato oggi. La storia inizia da quando era piccolo e dice: "Vivevo nel villaggio, non avevamo nulla, ma la nostra forza era ed è la comunità, avevamo delle cose che non hanno prezzo che non si possono comprare, la terra e le capacità di saper tirare fuori da essa il cibo. In breve tempo purtroppo, prima che ce ne accorgessimo, siamo diventati colonia di cinesi, libanesi, indiani che venivano e tutt'ora è così, solo per lo sfruttamento minerario dei diamanti e dell'oro, ed è triste perché le miniere hanno distrutto una parte enorme dei terreni utili per l'agricoltura. Successivamente le persone hanno iniziato a dipendere (cioè ad essere schiavi) da queste attività: oggi circa 400.000 persone sono succubi di questo e la società non funziona più, c'è un disinteresse per il vicino e di ciò che può offrire come aiuto. Nel corso degli anni c'è stata una totale sfiducia nelle istituzioni da cui il popolo voleva dipendere, pertanto nel 1991 si è arrivati alla guerra civile che è durata per ben 11 anni. Da questi anni cosa abbiamo imparato? Purtroppo non molto, la corruzione è molto alta, ci sono state le elezioni due mesi fa ma il potere ha falsato i risultati e ora siamo in una situazione veramente fragile; attualmente si rischia una seconda guerra civile. Nel 1991 ero appena laureato e vedevo il tessuto sociale così disfatto ma allo stesso tempo ero molto confuso, potevo tranquillamente aggregarmi ai ribelli - che però stavano distruggendo il paese - o unirmi allo stato e diventare molto ricco, ma ho pensato che non era giusto vivere così. All'epoca lavoravo nei servizi sociali con l'associazione inglese di padre Canonville (il nome non so se giusto, ndr) e una di queste suore mi ha raccontato di un'università cattolica a Oxford. Ho provato per tre anni a prendere una borsa di studio per entrare a Oxford, solo al quarto anno sono riuscito. Mi ero appena risposato e iniziato una famiglia (la prima moglie di John morì giovane lasciandogli un figlio, Charles, ndr), avevo Charles che ora lavora per i salesiani di don Bosco (età credo 35 anni ad oggi, ndr), e il secondo figlio aveva 8 mesi, a causa della guerra civile ci siamo spostati dentro la giungla per molti mesi (non in un villaggio), avevo la mia famiglia e basta, nessun'altra cosa; la nostra vita dipendeva dalle associazioni umanitarie che ci davano il cibo. Quando non avevo più nulla, la Provvidenza si è fatta sentire, sono andato a trovare mio zio a Freetown e mi ha detto che era arrivato il fax per la borsa di studio per Oxford. Dovevo occuparmi solo delle spese del viaggio ma in quel periodo non avevo veramente nulla, il biglietto costava circa 350 sterline ma non mi sono scoraggiato e mi sono detto lo farò. Il secondo problema era dove lasciare la mia giovane famiglia: ho iniziato a visitare degli amici nella comunità, anche se a Kabonka non c'era più nessuno (erano tutti fuggiti). Mio zio mi ha detto che mi avrebbe dato dei soldi e pensavo di costruire una casa, ho raccolto del ferro che poi ho venduto, ho lavorato per sei mesi per un organizzazione di rifugiati dove ho chiesto aiuto anche al mio capo per questo progetto, e lui mi disse che mi avrebbe aiutato. Mi hanno dato due mesi di salario in anticipo e una mia collega mi ha dato 100 dollari e promesso di portarmi in Guinea per il viaggio. In quei giorni c'era l'embargo e non si poteva uscire in nessun modo dal paese, e io sono dovuto andare in Gambia per il visto. Sono arrivato in Gambia a settembre, dovevo rispondere al fax entro il 4 ottobre, mi hanno dato il visto ma non era la fine dei problemi perché avevo solo 200 dollari  dopo aver aver speso molto per il viaggio in Gambia . Ho chiamato anche il sacerdote inglese mio amico in Inghilterra, per cui avevo lavorato 10 anni anni prima in Sierra Leone, e ha garantito per me in Inghilterra dicendo che era un buon investimento per il paese inglese avermi lì a studiare e l'università ha comprato il biglietto per me. Sono arrivato a Londra il 1 ottobre 1999. Tra i lettori del college ho conosciuto Caldecott che mi ha consigliato di leggere Chesterton. Sono stato spesso a casa di Stratford. Posso dire che se non avessi conosciuto quest'uomo sarei rimasto a Londra. Tornato in Sierra Leone vi racconto cosa faccio per vivere in questa bellissima casa: sono un libero professionista che collabora con diverse istituzioni fornendo consulenze di sociologia, studi di settore per i progetti che vengono fatti nel Paese". John è molto conosciuto per questo tipo di studi. "La Banca Mondiale presta dei soldi allo Stato della Sierra Leone e mi raccomanda come persona non legata allo Stato per non avere corruzione. Guadagno bene, avrei potuto mandare tutti i miei figli in America a studiare ma ho preferito costruire una bella casa per la mia famiglia e con il resto dei miei soldi ho fatto la scuola, noi compriamo le cose che ci servono con i soldi ma vediamo la povertà intorno a noi e cerchiamo di aiutare tutti quelli che possiamo. Le cooperative lavorano nell'agricoltura e negli anni grazie al mio lavoro e al Sierra Leone Chesterton Center abbiamo finanziato molte attività per aiutare il popolo, costruito dei magazzini per contenere il mais e altre colture e stiamo costruendo degli uffici per le cooperative e molto altro".

Sono sempre più convinto che questo viaggio ma soprattutto lo stare a casa di questo uomo dal cuore grande ci voleva proprio per capire come nella vita dovremmo sfruttare i nostri talenti, metterli al servizio degli altri e soprattutto rimanere umili come lui. Dopo questo racconto ho perso la concezione del tempo ma ci siamo alzati e diretti alla scuola. Ho fatto fatica a trattenere le lacrime perché aperto il cancello, tantissimi bambini della primaria ci attendevano nel cortile, con i cartelli di benvenuto in mano, abbiamo abbracciato ogni persona e conosciuto tutte le classi una per una, e John ha ripetuto ad ognuno chi eravamo e perché siamo venuti; la scuola è enorme, iniziata con 14 ragazzini, il secondo anno erano circa 200, il terzo più di 500. Loro accolgono tutti ma danno un'impronta cattolica a tutto, e John è molto preciso in questo: ad esempio una volta l'anno chiama una commissione esterna per valutare i professori e mantenere così uno standard molto alto. La scuola si paga circa 120 dollari l'anno, compresi i libri e tutti i servizi come lo scuolabus. Nonostante l'estrema povertà le famiglie scelgono di mandare i figli alla Chesterton Academy. La scuola ha un indirizzo scientifico tecnologico quindi c'è l'aula computer, quella di scienze, e un'aula magna che stanno ultimando ora che è dedicata a Stratford Caldecott dove i loro ragazzi faranno anche gli esami. Abbiamo rivisto i banchi che abbiamo mandato, il generatore (il rinoceronte) e gli attrezzi degli anni scorsi che sono serviti per costruire molte cose nella scuola. Gli alunni che finiscono la scuola tornano più volte a settimana per aiutare a costruire banchi in legno o ferro facendo dei laboratori. 

Il tempo sembra non passare mai e le cose da assimilare non entrano più dagli occhi, da un lato un paese in ginocchio e che vorresti aiutare ma non sai da dove iniziare, dall'altra un uomo che con l'aiuto degli amici, della comunità e della sua famiglia sta cambiando il tessuto sociale. Ad oggi John vuole lasciare parte del suo lavoro per dedicarsi quasi interamente ai suoi successori che dovranno portare avanti tutto questo con il suo stesso carisma, e i figli sono ben contenti di proseguire sulle sue orme già da ora, visto che sono una determinate presenza nella scuola. Conosciamo appena fuori dalla scuola una ragazzo di cui John ha molta stima: fa il meccanico in un fazzoletto di terra di lato alla strada principale, vuole aiutarlo a trovare un terreno più grande perché Tamba (il suo nome) accoglie in giro per la Sierra Leone circa 100 ragazzi introno ai 16/17 anni che non frequentano la scuola e insegna loro il mestiere; alla fine si fanno pagare il lavoro in base alla gravità del problema e divide i ricavi, una parte per "l'azienda" e il rimanente diviso tra chi ha fatto il lavoro sull'auto. Dunque la MISSIONE SUCCESSIVA PER NOI ITALIANI SARÀ TROVARE UN PONTE SOLLEVATORE PER TAMBA, datevi da fare da subito. La cosa che colpisce è che abbiamo parlato con Tamba per una quindicina di minuti e i ragazzi che erano intorno alla macchina si sono fermati e si sono messi ad ascoltare, nessuno escluso senza distrarsi nemmeno un secondo. Partiamo successivamente alla volta della Spiaggia del Re, andiamo a vedere l'oceano, anche se il nome che dovrebbe suscitare sicurezza in realtà è un po' macabro: era la spiaggia dove il re dava il permesso di prendere gli schiavi. Ci accompagnano per una buona mezz'ora palme da dattero, alberi enormi di ficus, mango e altre piante di cui non conosco il nome. Terra rossa e la cruda realtà del luogo. Arriviamo in un villaggio dove la strada finisce e si va su un sentiero quasi fino all'arenile. Ci spiegano la storia di una chiesa protestante (ancora sul posto ma abbandonata) dove sotto il pavimento rialzato di appena un metro e mezzo tenevano gli schiavi che catturavano e portavano in Inghilterra, li tenevano lì in quel posto senza finestre dove non si riusciva a stare nemmeno in piedi per mesi, poi quando arrivavano le navi inglesi e attraccavano a Banana Island, un isola poco distante dalla spiaggia, venivano deportati. Il villaggio difatti ora è abitato dai figli o dai discendenti degli schiavi liberati all'epoca e rimandati a casa. Anche qui ci accolgono dieci, quindici ragazzi che ci accompagnano per tutta la visita. Arriviamo fino sulla battigia fatta di sabbia di colore giallissimo delimitata dalla fitta vegetazione tipica della giungla e scogli di pietra nera, un villaggio di pescatori con la tipica barca che ricorda una pagoda, con la prua appuntita. Nella passeggiata di ritorno passiamo davanti a due baracche un po' meglio delle altre e Michael ci dice che è la scuola fatta da Save the Children (una bella scritta sul muro la distingue dalle altre baracche), niente rispetto alla Chesterton Academy. Dentro al massimo c'erano dieci bimbi. Il divario con l'opera di John che fa di tutto per cambiare il suo paese con le proprie economie, coinvolgendo tutti gli amici e ogni persona che può aiutare, è abissale.

Una delle classi della
Chesterton Academy di Freetown

John vuole ancora sentire di noi e prendiamo impavidi ancora delle birre, minimo due a testa sennò non si apre il discorso. John è apprezzato e rispettato da tutti, lo si vede bene andando in macchina con lui. Una cosa simpatica è che i suoi collaboratori lo chiamano "the director", nessuno lo chiama per nome. 

Dietro un grande uomo però c'è sempre una grande donna e la moglie di John lo è davvero: si occupa della qualità di riuscita di tutti i suoi progetti, spesso dietro ad un ragazzo problematico c'è lei che contatta la famiglia e cerca di capire come aiutare. 

Arriviamo a pranzo verso le 15.30 ora locale. Un pranzo fantastico, spaghetti al ragù che probabilmente Millicent (moglie di John) aveva preparato prima perché noi ci siamo presentati molto tardi (e non erano nemmeno scotti), uno spezzatino di carne con salsa locale per secondo, cosce di pollo e verdure cotte. Per nostra fortuna nel pomeriggio è prevista solo una piccola intervista a John e poi riposo. Sono solo due giorni che siamo qui ma la percezione è quella di esserci da almeno una settimana. 

I nostri umili banchetti di scuola
che non sono niente
rispetto a quello che fanno John e i suoi eroi

Le persone che abbiamo incontrato la mattina a scuola vogliono essere con noi e alle 19.00 ecco pronta una succulenta cena a base di riso, capra cotta al forno (superlativa), patine fritte e ovviamente due birre a testa, fortuna che rispetto alla nostra risulta molto, molto leggera, il problema sono le sudarelle dovute all'umidità dell'85% e a quei 5 gradi percentuali in più delle birre. 

A cena ci sono tre professori (due dei

I bellissimi alunni della scuola elementare
della Chesterton Academy di Freetown
che accolgono con affetto e bellissimi
cartelloni i nostri amici.

quali rispettivamente Lorenzo Castagna e Marco Fratta), la dirigente, la ragioniera e tutta la famiglia del direttore, rispettivamente Michael, Clare, Cher e la mamma. John ha voluto che ci presentassimo uno per uno e dicessimo il nostro ruolo lavorativo come in una confraternita delle nostre. Quest'uomo non finisce mai di stupirti. I professori sono entusiasti del loro lavoro, hanno una gran voglia di fare parte della loro opera, ci credono e si spendono molto per essa, ci devastano di domande (un grazie a Kevin per l'aiuto con l'inglese). Ci parlano dei primi esami di stato che hanno fatto e la scuola è stata premiata per essere arrivata tra le prime quindici con alunni dove la costante del voto era 10; allora la direttrice dice che il prossimo anno vogliono arrivare nella top ten e quindi schiereranno gli alunni migliori, ma il direttore incalza subito così: "nessuno degli altri deve rimanere indietro, porteremo tutti allo stesso livello, questo è il tuo lavoro, buona fortuna" e dopo questo affermazione concluderei con un "buona notte". 

Ore 00.30 ora locale.

Ciccio