Dal prof. Carlo Bellieni

di Carlo Bellieni

Osservatore Romano, 10 gennaio 2010

Una grave epidemia ha colpito negli ultimi anni il mondo, ma nessuno ne parla. È quella delle nascite premature, mai così numerose e costantemente in aumento, tanto che i posti letto nei reparti a esse destinati spesso non bastano. Così dichiarava nel giugno 2009 l'allora presidente dei neonatologi italiani Claudio Fabris all'agenzia Dire ricordando che annualmente sono 40.000 le nascite premature in Italia. E ogni anno 540.000 bambini prematuri nascono negli Stati Uniti: sono il 12,8 per cento del totale, secondo il Center for Disease Control (marzo 2009), con un aumento del 20 per cento dal 1990. In Francia l'aumento dal 1995 al 2005 è stato del 25 per cento («Santé Médecine», novembre 2009) e in Inghilterra del 30 per cento in 25 anni. L'industria già prevede l'ulteriore incremento delle vendite dei macchinari per l'assistenza a questi piccolissimi, secondo il Millennium Research Group (24 luglio 2007).

La nascita prematura non è da banalizzare: la sopravvivenza migliora di anno in anno grazie ai progressi tecnologici, ma i rischi per la salute restano tanti, e talora gravi: ogni anno nascono quasi 13 milioni di bambini prematuri nel mondo, di cui un milione circa muore. E questo ha un costo elevato: annualmente negli Stati Uniti si spendono oltre 26 milioni di dollari per i prematuri. Questa epidemia è un paradosso, perché non si tratta di un nuovo virus e le cure mediche, così come le prestazioni sanitarie, migliorano sempre. Allora, cosa la fa diffondere? Già, perché se per le infezioni e altre complicazioni il normale progresso medico è sempre più efficace, ci deve essere un fattore che sfugge alle maglie della medicina, quasi fosse un nuovo germe cui non si è preparati. Per l'associazione storica March of Dimes, «i fattori chiave che contribuiscono a questo aumento sono l'aumento di gravidanze oltre i 35 anni, l'aumento di tecniche di riproduzione assistita con gravidanze gemellari e l'aumento di nascite moderatamente premature».

In Italia sono in continuo aumento le nascite da donne ultraquarantenni: da 12.383 nati nel 1995 a 27.938 nati nel 2006 (fonte Istat 2008); in Canada è raddoppiato dal 1970 al 1990 il numero di donne che partoriscono oltre i 30 anni e di conseguenza i parti prematuri sono aumentati del 3,5 per cento sotto i 35 anni e del 14 per cento oltre questa età (Suzanne Tough, «Pediatrics» 2002); sempre in Canada le donne che partoriscono oltre i 35 anni erano il 6 per cento nel 1975, il 18 per cento nel 1995 e il 25 per cento nel 2005 (Arthur Leder, Sexuality, Reproduction and Menopause, 2006).

La maternità posticipata è insomma responsabile del 36 per cento dell'aumento di nascite premature. E più si aspetta a concepire, più è difficile farlo. Allora spesso si ricorre a un aiuto medico; ma, come riporta la rete ginecologica francese Audipog (giugno 2003), questo stesso aiuto non è senza pericoli: «il rischio di gravidanze multiple in donne sottoposte a trattamenti per la fertilità è del 15 per cento contro il 2,1 per cento del concepimento naturale», e Dorte Hvidtjorn su «Pediatrics» dell'agosto 2006 riporta che  il 18 per cento dei nati da fecondazione in vitro sono prematuri, contro il 5 per cento degli altri nati, mentre una rassegna del «Lancet» riporta che anche le gravidanze con un feto singolo medicalmente indotte hanno un rischio doppio di prematurità (luglio 2007).

Il fenomeno tocca ogni latitudine, ma colpisce tipicamente la società del benessere: «le donne che rimandano la maternità sono spesso più scolarizzate, si affidano prima alle cure prenatali, hanno uno stile di vita più sano » scrive Suzanne Tough. E Susan Bewley scrive, nel 2005 sul «British Medical Journal», a proposito delle gravidanze oltre i 35 anni: «I ginecologi sono testimoni di cambiamenti demografici e tragedie nelle ultime due decadi in seguito a questa trasformazione demografica: il dolore dell'infertilità, aborti spontanei, famiglie più piccole del desiderato». E aggiunge riferendosi alle gravidanze in età avanzata: «Ironia della sorte: mentre la società diventa più attenta ai rischi e le donne incinte diventano più ansiose che nel passato, una causa maggiore prevenibile di questa malattia della salute passa misconosciuta. Le agenzie di salute pubblica sono attente ai teenager, ma ignorano l'epidemia di gravidanze della mezza età».

Tutta l'educazione alla gravidanza sui media è concentrata a spiegare come correre ai ripari quando un figlio non arriva o su come non avere figli; ma nulla su come evitare di restare sterili, quale sia il corretto periodo per avere figli, come non avere complicazioni.

È un paradossale pudore inverso: parlare di sesso e contraccezione, ma assolutamente non parlare del desiderio e dell'istinto ad avere figli (se non quando si tratta di come correre ai ripari). E parlare poco degli altri rischi, come l'alcol e il fumo in gravidanza.

Non bisogna recriminare, ma fare fronte all'epidemia. Non tutta la prematurità è legata all'età materna: su varie cause (infezioni, diabete e altre patologie) già si agisce fruttuosamente, su altre si può migliorare (droghe, fumo, alcol, malnutrizione, stress e lavori faticosi). Questi interventi colpiscono il cuore dell'epidemia, mentre l'incremento progressivo e continuo delle nascite premature ha uno stretto legame con l'incremento dell'età delle mamme.

Servono allora coraggiose iniziative a favore delle famiglie giovani e delle donne in età fertile, perché il sogno di maternità non venga frustrato da carenza di denaro o da impedimenti nella carriera lavorativa. Ma serve anche un intervento culturale che riveli i costi dell'autonomia e della mancanza di legami considerate come ideali. Urge una rivoluzione copernicana che rimetta l'ordine biologico al centro del programma di vita: si può derogare all'orologio delle ovaie o del testosterone, ma è molto più saggio riconoscerne il secolare ritmo e, invece di sfuggirlo per poi rimpiangerlo, sfruttarlo appieno.

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