A poco più di due anni dalla morte di mons. Giuseppe Chiaretti.

 


Gli amici vanno ricordati sempre, dobbiamo chiedere per loro il suffragio e chiedere loro di aiutarci.

Ricordiamo anche mons. Giuseppe Chiaretti che tanto fece per la nostra Compagnia, dandole la spinta iniziale e seguendola sempre con cuore fervido, fino all'ultimo.

Riproponiamo l'articolo che pubblicammo su Vivere! all'indomani della sua morte.


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La morte di mons. Giuseppe Chiaretti, primo vescovo della Diocesi di San Benedetto del Tronto - Ripatransone - Montalto, mi ha dato modo di ricordare idee, impressioni ed episodi alle radici della nostra Compagnia, per cui vorrei condividerli con i miei amici ed i lettori. Non mi stanco di ripetere, senza ombra di dubbio, che se non fosse stato per la sua magnanimità, per il suo discernimento episcopale e per le tracce di eroismo ordinario nel suo ministero, la nostra Compagnia non sarebbe nata, un piccolo dono di cui essere grati a Nostro Signore per essersi fatto più vicino a noi, e questo non mi sembra trascurabile. 


Una delle prime volte che ebbi dei contatti più ravvicinati con monsignor Chiaretti fu quando mi chiese di organizzare il servizio d’ordine del nostro Congresso Eucaristico, credo fosse nel 1990. Organizzai tutto come meglio potei, vincendo qualche piccola resistenza nei vari gruppi: non tutti eravamo tagliati per fare questo servizio, saremmo andati anche ad incrociare qualche altro programma già fatto. Ma cercai di dire a tutti che il vescovo teneva molto a che noi svolgessimo questo servizio e che nell’anima vera degli scout c’era questo grande attaccamento all’Eucarestia. La prova non fu semplicissima: tenere buone migliaia di persone dentro lo Stadio Ballarin, facilitandone l’ingresso, e poi l’uscita per incanalare la processione fino alla cattedrale mi fece sudare molte camice, ma ricevetti tanto aiuto dai miei ragazzi di quell’epoca e dai membri degli altri gruppi, oltre ad una certa dose di allegria mentre facevamo questo lavoro. La cosa andò bene, per lo meno così ci sembrò. Qualche tempo dopo, mons. Chiaretti convocò per fare una piccola verifica tutti quelli che avevano collaborato al congresso, o meglio, voleva ringraziare tutti per la buona riuscita. Alla fine chiamò anche me e mi donò una corona del Rosario per ringraziarmi.


Anni dopo, nel travaglio che precedette la nascita della Compagnia, fui convocato da lui in persona nel suo ufficio. Voleva sapere il perché di quello che stava accadendo. Mi fece alcune domande ma mi lasciò parlare liberamente, ascoltò in silenzio e mi salutò… Rimasi un po’ sospeso e trepidante. In generale mons. Chiaretti fino a quel momento mi aveva sempre messo un po’ di soggezione, e in quella circostanza non sapevo come sarebbero andate le cose. Qualche giorno dopo, eravamo nel mese di ottobre, mi fece chiamare da Don Antonio Spina: “Dovresti venire subito, il vescovo ti vuole parlare…“. Ero appena tornato da una delle ultimissime giornate di mare, mi cambiai in fretta ed andai al palazzo vescovile. Monsignor Chiaretti mi ricevette e mi disse: “Dopo quello che mi hai raccontato ho cercato altre informazioni…”. Io stetti in silenzio, trepidante, lui altrettanto in silenzio come chi si appresta a dire qualcosa di importante. Poi disse: “Potreste creare un altro gruppo con gli Scout d’Europa…”. Io, dopo aver tirato un grande sospiro di sollievo, dissi: “Eccellenza, non credo che la cosa riuscirebbe” e continuai: “Domenica ci dovremmo vedere a Casa San Francesco, Don Gianni Anelli ci ha detto che potremmo andare lì…”. Lui mi rispose: “Va bene, però lunedì fammi sapere come sono andate le cose”. Quella domenica era il 17 ottobre 1993. Ci riunimmo per la prima volta a Casa San Francesco ed eravamo quarantatré ragazzi giocare al fazzoletto (ero giovane anch’io, avevo ventotto anni)… Il giorno dopo mi presentai in Curia con la mia futura moglie a raccontare questa cosa a mons. Chiaretti, che mi aspettava. Prima fece una battuta, perché credeva che Federica fosse una turista tedesca a causa della capigliatura bionda, e questo stemperò decisamente il clima, poi ascoltò il nostro breve ma appassionato racconto. Ci fece parlare senza interromperci, poi stette un minuto? due minuti? in totale silenzio… Sinceramente mi tornò un po’ di apprensione. Dopo quel lungo silenzio ci disse: “Io, con il discernimento di vescovo, vi dico che voi due avete il carisma per stare con i giovani e dovete continuare così… Dirò a Don Gianni di aiutarvi…”. Ci sembrò di volare leggeri come piume dopo mesi tormentati. Fece sì che avessimo una sede, l’indimenticabile Casa San Francesco, che successivamente contribuimmo a rendere una vera casa con le nostre forze.


Il 1 novembre ci incrociammo al convegno del movimento Fides Vita, e il vescovo sentì per la prima volta il nostro nome, Compagnia dei Tipi Loschi del beato Pier Giorgio Frassati. Era serio, come sempre in pubblico, ma lo vidi in un certo senso compiaciuto. Qualche mese dopo una mia conoscente mi chiamò e mi disse: “Ma che avete fatto?”. Io pensavo che volesse riferirsi ancora una volta a tutta la nostra vicenda un po’ complicata… Provai ad abbozzare una mezza risposta, francamente ero un po’ stanco di spiegare… E lei mi prevenne dicendo: “… perché monsignor Chiaretti è venuto ad una nostra assemblea e ha detto: voi dovete fare tutti come i Tipi loschi!”. Questo mi lasciò nuovamente sorpreso e rafforzato.


Un altro bel ricordo è di quando andammo a fargli festa all’ingresso solenne nell’Arcidiocesi di Perugia - Città della Pieve. Con altri sambenedettesi, Nicolino Pompei ed io ci piazzammo nei pressi della scalinata della cattedrale di Perugia, in attesa che monsignor Chiaretti entrasse solennemente festeggiato dalla popolazione perugina e chiassosamente acclamato da noi sambenedettesi. Ad un certo punto, non ricordo bene dove e quando, ci vide e ci disse: “Pure qua siete venuti?“ sorridendo… E noi dicemmo sì, certamente!


Ci fu poi un lungo periodo in cui non ci vedemmo: passai dieci anni senza più incrociare il mio caro vescovo, ma un giorno ebbi l’occasione di andare a Perugia per una causa. La Corte d’Appello mi liberò in poco tempo, per cui verso le 11 pensai: l’abitazione del vescovo è qui vicino, adesso provo a vedere se c’è e a fargli un breve saluto. Chissà se si ricorderà di me… Andai in portineria e mi dissero che l’arcivescovo non era in casa ma in cattedrale perché stava facendo una ricognizione delle tombe degli arcivescovi in cripta. Entrai in cattedrale, mi dissero che l’ingresso era lungo una parete sulla destra, faticai a trovare la porta che si confondeva con i colori dell’intonaco e mi infilai in un pertugio. Non sapevo che fare perché c’era una scala buia che portava nel sottosuolo e non vidi luce o interruttore. Però da sotto sentii provenire una voce conosciuta… Attesi un attimo ed in effetti era monsignor Chiaretti che stava risalendo le scale con i suoi collaboratori e parlava. A quel punto dissi: “Buongiorno, Eccellenza!” Lui mi disse: “E tu chi sei?”. Io risposi: “Non mi riconosce?”. Lui: “Dammi tempo…”. Venuto  verso la luce mi disse: “Caro amico! Come stai, Marco?”. E mi presentò ai suoi collaboratori dicendo che un vecchio amico di San Benedetto del Tronto era andato a trovarlo. Fui contentissimo e grato e arrossii un po’. Allora mi invitò a salire a casa, mi fece accomodare e mi offrì un pezzo di dolce che tagliò con le sue mani ed un succo di frutta ricevendomi in cucina, proprio come si fa con le persone di casa… Questa cosa mi riempie ancora di gioia e mi commuove. Una delle prime cose che mi mostrò erano i numerosi segni della presenza di San Benedetto del Tronto nella sua vita: quadri, ricordi tutti presenti all’interno degli ambienti più “caldi“, le letterine e i disegnini dei bambini di Santa Gemma ed altre cose del genere… Lo scoprii ancora fortemente legato alla nostra città. Mi parlò delle sue origini, della sua famiglia, del suo paese, Leonessa, della sua vocazione sacerdotale. Appesa alla parete c’era una splendida foto in bianco e nero del giovanissimo don Giuseppe a dorso di mulo guadare un torrente e imboccare una mulattiera, in tonaca e mantello, avrei voluto rubarla. Fu l’occasione per parlare del sacerdozio, allora e oggi. Poi mi mostrò la sua biblioteca, che aveva subito di recente dei restauri. Il suo appartamento era antichissimo, e prima di lui era stato occupato anche dagli altri arcivescovi, tra cui - ci tenne a dirmi - anche Papa Leone XIII. Mi mostrò infatti il suo zucchetto, un suo ombrello e la camera dove aveva dormito nel periodo in cui era stato arcivescovo di Perugia. Non mi lasciò: visitammo insieme il Museo diocesano, bellissimo, mi regalò alcuni libri d’arte e di religione, tornai a casa carico e allegrissimo! Mi salutò come si fa tra vecchi amici, lo dico sinceramente. In verità negli anni precedenti eravamo sempre rimasti in contatto, scrivevo dei biglietti di auguri per le feste e lui rispondeva sempre di suo pugno e con parole affettuose e dirette. So che in tutti questi anni ai sambenedettesi che lo andavano a trovare chiedeva sempre: “Come stanno i ragazzi…?” riferendosi anche a noi. Lo rividi quando venne a San Benedetto per il trentennale della Diocesi e sostenne un bel dialogo in cattedrale, una testimonianza sacerdotale fresca ed autentica. Lo andammo a salutare e fu cordiale come sempre.


Il suo rapporto con Pier Giorgio Frassati fu non solo vivace e contagioso (fece anche delle ricerche tra i documenti diocesani, lui che era un bravissimo storico, e trovò testimonianze vive della devozione dei nostri concittadini verso il nostro caro Robespierre. Ricordo che lesse una cartolina di una suora che incitava il destinatario a “vivere alla Pier Giorgio”…), ma lo portò a fare definitiva chiarezza sulla persona del nostro caro don Francesco Vittorio Massetti cioè Petronius Arbiter Elegantiarum, riabilitandone la figura. Ricordo come fosse oggi il funerale a San Benedetto Martire e le parole forti e chiare del vescovo. Quando seppe della nostra intenzione di rifare quella compagnia sotto la guida di quel giovane fu molto contento. L’averci messo a fianco don Gianni Anelli fu come rafforzare e dare ufficialità ad un filo rosso che ci aveva raggiunto come un fulmine a ciel sereno. Scrisse una specie di brevissimo memorandum su di noi per il suo successore: credo che siano tra le parole più appropriate su di noi.


Ad un profilo anzi ad una mappa di quest’uomo grande, umile e generoso penseranno gli esperti, che non potranno che descrivere un uomo buono, vero, umile, un sacerdote santo e dedito al suo popolo, un vescovo serio che ha esercitato paternamente e coraggiosamente il ministero di insegnare, discernere, guidare, confermare. Questi miei pochi ricordi, come comprenderete, sono pieni di gratitudine e anche di giusta commozione. Noi tipi loschi non smetteremo mai di essere grati a questo santo vescovo per averci dato fiducia, affetto e forza da buon padre. Non smetteremo mai di essere grati a Nostro Signore per il dono che ci ha fatto tramite mons. Chiaretti. Io non smetterò mai di considerare mons. Giuseppe Chiaretti un padre ed un caro amico.


Carissimo amico Vescovo Giuseppe, ricorda i Tipi Loschi al Nostro Re il Signore Gesù Cristo! Abbi cura di noi, guidaci sempre con coraggio e spingici avanti come hai sempre fatto.


Marco Sermarini

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