Un articolo del nostro amico Alessandro Gnocchi, senza commenti, per riflettere su come vanno le cose in giro.

I cattolici, in certi ambienti clericali, non sono graditi - Articolo di Alessandro Gnocchi su "Libero"

Il libro anti-Concilio troppo ortodosso per la Chiesa


Scrivo in prima persona, lasciando a riposo solo per questo turno Mario Palmaro, per raccontare una grottesca vicenda di genere clericalcuriale che mi ha visto coinvolto in compagnia del professor Roberto de Mattei. Riassunta brutalmente, suona così: oggigiorno, essere cattolici senza indulgere in sbavature dottrinali e morali non è il viatico migliore se si vuole andar per parrocchie, oratori e associazioni culturali cattoliche, anzi finisce che ti tolgono la parola come soggetto non gradito.

Ma questo è il succo del ragionamento. Per cogliere quella che i giornalisti chiamano notizia, bisogna partire dalla fine: ieri sera, lunedì 6 giugno, presso la Sala Santa Maria Gualtieri, in Piazza della Vittoria 1, a Pavia, è stata presentata l’opera Concilio Vaticano II. Una storia mai scritta, di Roberto de Mattei, edizioni Lindau; relatori Alessandro Gnocchi e Roberto de Mattei.

La presentazione di un libro non è necessariamente un evento degno di nota. Ma l’opera di de Mattei, vice presidente del Cnr e docente di Storia del Cristianesimo e della Chiesa all’Università Europea di Roma, è divenuto un caso editoriale perché, come recita il sottotitolo, osa raccontare la “storia mai scritta” di un mito del XX secolo.

Ma questa, per quanto innegabile, è una notizia secondaria rispetto a ciò che ha reso tribolata l’organizzazione della serata. La presentazione si è tenuta alla Sala Santa Maria Gualtieri a cura della Fondazione Lepanto e delle Edizioni Lindau dopo che il Collegio Ghislieri aveva declinato la possibilità di farlo nella propria sede. In un primo tempo, sembrava tutto fatto, il rettore era ben felice di ospitare uno studioso illustre, ma poi, improvvisamente, le date ipotizzate si sono riempite di impegni improrogabili. Si dirà: un intellettuale di formazione laica, laicissima, che non impazzisce per ospitare dei cattolici che parlano di un libro cattolico, anche in tempi di tolleranza, è una notizia, ma non eclatante.

In effetti, c’è dell’altro. Il laico Collegio Ghislieri era un ripiego su cui ci si era orientati dopo che il vescovo di Pavia, monsignor Giovanni Giudici, aveva opposto il suo personale e autorevole dissenso alla presentazione del libro di de Mattei in ambito riconducibile alla diocesi. Ne sa qualcosa il sacerdote che pensava di far del bene invitando l’autore e il sottoscritto a parlare di un’opera tanto importante e si è sentito dire che sarebbe stato meglio, molto meglio, lasciar perdere. Con tanto di telefonate, convocazioni e il monito clericaleggiante: di quel libro ha parlato male l’”Osservatore Romano”. Perché si sa, quando serve, fa brodo anche l’”Osservatore”.

A questo punto, la notizia non si può dire che non vi sia e va tradotta così: il vescovo cattolico della diocesi cattolica di Pavia non gradisce la presentazione di un libro cattolico, scritto da un cattolico, presentato da due cattolici, su invito di un’organizzazione cattolica.

Qualcuno farà notare che monsignor Giudici, uomo di curia dal purissimo pedigree martiniano che volentieri duetta con Enzo Bianchi, accoglie don Andrea Gallo e dialoga con l’Arcigay, non può vedere di buon occhio la calata in diocesi di cattolici che viaggiano contromano. Ma un minimo di fair play non guasterebbe: se a Pavia viene accolto senza problemi don Gallo per spiegare che lui ha anche un quinto vangelo, quello di De Andrè, perché non c’è posto per chi si ferma ai canonici quattro?

Domanda ingenua che, probabilmente, contiene la risposta. In una Chiesa in cui il federalismo dottrinale ha attecchito con molta più efficacia di quanto in Italia attecchisca quello fiscale, non possono godere di tranquilla cittadinanza coloro che pretendono di ribadire l’universalità e l’immutabilità della dottrina e della morale. Senza contare che de Mattei, agli occhi dei grandi numi di quella teologia che ama tanto i gentili e per nulla i fratelli un po’ retro’, ha commesso l’errore di sostenere le sue tesi mettendo mano ai documenti e raccontando fatti che nessuno è stato in grado di contestare. In un ambiente in cui generalmente si crede che il Vaticano II sia il primo e ultimo Concilio della Chiesa cattolica uno storico che fa il proprio mestiere può solo dare fastidio. Vuoi mettere quanto sono più riposanti preti cosiddetti ribelli come don Gallo che magari spiega l’intima religiosità di “Bocca di rosa” o monaci scomodi come il priore di Bose che mena il torrone l’accoglienza, la parresia e la profezia?

E così, dove sono passati fior di preti scomodi ma glamour, non sono passati de Mattei e Gnocchi. Il sacerdote che avrebbe voluto presentare il libro sul Vaticano II, con cattolicissima e ammirabile obbedienza, ha desistito dall’intento. Ma l’organizzazione della serata non si è fermata, fino a che non ha trovato asilo nella Santa Maria Gualtieri, aperta a tutti, cattolici compresi.

(Alessandro Gnocchi su Libero del 07/06/2011)

Commenti

Unknown ha detto…
Ero presente all'incontro e ho fatto un breve intervento (a carattere più problematico che polemico), che dal dott. Gnocchi e dal Prof. De Mattei ha ricevuto risposta (forse anche per motivi di tempo) soltanto parziale.
Il mio punto era duplice: anzitutto, perché addossare al CVII responsabilità che non ha? i "50 anni di macerie" che a dire del Prof. hanno contraddistinto la Cristianità dopo il Concilio non sono forse frutto di una secolarizzazione certamente malefica, ma che il CVII (salvo alcune interpretazioni palesemente DEVIANTI) non ha in alcun modo promosso? ma non è evidente, a chi prenda in mano i documenti del Concilio, la continuità con la Tradizione? l'armonia che ha?....perché porre l'accento sul loro carattere "confusionario", quando tutti sanno che più il periodo storico è tormentato e complesso, più è necessario mediare tra istanze, in nome dell'unità del Corpo (un po' come certe leggi, che contengono clausole più aperte e vaghe per consentire un'applicazione più flessibilmente attenta al caso concreto)?
In secondo luogo: perché condannare il dialogo (cosa che è stata detta, ahimé, nel corso di quella serata)? perché il dialogo dovrebbe comportare una deminutio capitis o un'abdicazione alle proprie convinzioni, un tradimento della Verità? Cristo non ha forse dialogato (addirittura) con Pilato? perché additare una "riconquista" del mondo, fatta di posizioni (giustamente, potrei dire) forti, nette, delineate,...e non contemplare il DIALOGO tra i mezzi per riacquistare alla Cristianità il mondo, per quanto si può?
Chiudersi in una turris eburnea condanna noi cattolici all'incomprensione totale. L'afflato evangelizzatore che il Professore auspicava non si può ottenere con cecità...non siamo del mondo ma siamo NEL mondo, e all'astuzia dei serpenti si deve accompagnare - necessariamente - la purezza ed il candore delle colombe. Lo splitting "amici"/"nemici" (ricordiamo la Fondazione Lepanto) nuoce alla nostra coerenza e alla nostra immagine.

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