Eluana Englaro - La presa di posizione dell'amico Paolo Gulisano, presidente del CAV di Lecco.

Ottobre 2007: il Parlamento cancella definitivamente la pena di morte dal sistema giuridico italiano. Luglio 2008: i Giudici della Repubblica pronunciano la prima condanna a morte.
La Corte d’Appello di Milano, sulla scia della pronuncia della Cassazione di alcuni mesi fa, ha statuito: Eluana Englaro può essere uccisa. Una morte terribile: di fame e di sete.
Il paradosso è che chi vuole la sua morte si aggrappa ad una frase che ancora adolescente avrebbe pronunciato dopo la visita ad un amico in coma dopo un incidente, per cui avrebbe preferito morire piuttosto che rimanere attaccato ad un tubo.
Un’ argomentazione espressa emotivamente può costituire il fondamento di una condanna a morte? Crediamo di no. Risalire alle visioni del mondo del paziente, che nessuno può dire ancora attuali, significa definitivamente di non tenere conto della reale volontà del malato, che, per essere libera, deve essere attuale, circostanziata e contestualizzata. E’ umanamente drammatico e sbagliato retrodatarla perché si finisce, come detto, per farsi strumento di un arbitrio, in base ad una presunta volontà altrui.
Questa sentenza è un passo decisivo verso la possibilità di uccidere delle persone.
Tante sono infatti le persone nelle condizioni di Eluana, che non sono autosufficienti, che non sono in grado di provvedere a se stesse, di alimentarsi autonomamente, di avere una vita di relazione. Tutte “vite inutili”, da eliminare in nome di un falso pietismo?
Davanti a questa decisione, davanti al caso Englaro occorre reagire con consapevolezza e con decisione, con razionalità laica. Bisogna guardarsi dal fane unicamente un problema “etico”, perché in tal caso è pronta la replica dei sostenitori dell’eutanasia: la morale cattolica va bene per i cattolici, per i non credenti valgono altri codici etici. Nulla di più errato: per tutti gli esseri umani vale la stessa legge naturale, identica per tutte le culture e le fedi: non uccidere. Per questo l’impegno a favore della vita di Eluana Englaro non è una “crociata”, come paventa anche qualche voce del mondo cattolico, ma un impegno laico a salvaguardia dei principi di umanità e di civile convivenza.
E’ civiltà, è umanità infatti la decisione dei giudici che hanno stabilito che una donna adulta, che non è in stato terminale, non deve più essere nutrita e curata, ma deve essere lasciata morire?
Questi giudici hanno deciso di discriminare espressamente una categoria di malati: quelli che non possono guarire, che mancano di “coscienza e percezione del mondo esterno”.
D’ora in poi, verso questi malati, la domanda non sarà più: come curarli e assisterli al meglio? Ma piuttosto: quando e come ucciderli?
Diranno: la legge sul testamento biologico darebbe garanzia sulla effettiva volontà del malato di morire. Ipocrisia evidente: sarà solo il pezzo di carta che costituirà il nulla osta alle decisioni altrui, con altri che si arrogheranno il diritto di interpretare la volontà di chi l’ha firmato – magari niente affatto libero e niente affatto consapevole – e di decidere il se e il quando …
Se Eluana fosse lasciata morire, vorrebbe dire che anche per l’Italia è arrivata l’ora dell’eutanasia: ci auguriamo che non sia così.

Paolo Gulisano, presidente Centro Aiuto alla Vita di Lecco

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