Scelte coraggiose
La redazione propone un articolo dall'archivio di Vivere scritto nel 1994 in cui si parla della storia di due donne coraggiose, che hanno deciso di sacrificare le loro vite pur di non abortire i loro figli.
Cristina Mocellin e Felicita Merati
In mezzo a tanta ipocrisia e falsità due donne forti e la loro scelta coraggiosa.
L'anno che ci siamo da poco lasciati alle spalle è stato contrassegnato da una molteplicità di eventi luttuosi (guerre, assassini, violenze) che sembrano convalidare la definizione di homo homini lupus, che il filosofo Thomas Hobbes ha coniato per descrivere la condizione di vita degli esseri umani. Se è vero che ogni giorno nasce un nuovo fiore di sangue, non vi possono essere lacrime che ci fanno comprendere come il Bene non sia solo una bella parola, ma una realtà che si incarna nella volontà di donarsi senza riserve al prossimo.
I nomi di Cristina Macellin e Felicita Nerati sono sconosciuti alla stragrande maggioranza delle persone, eppure individuano le artefici di una scelta coraggiosa e comune: quella di lasciarsi morire pur di permettere ad una nuova vita di fiorire. Entrambe colpite da tumore hanno rinunciato, senza la minima esitazione, a sottoporsi a cure che avrebbero certamente pregiudicato il buon esito della gravidanza. Così sono nati due bambini, voce di quelli che avrebbero voluto venire al mondo, ma che sono stati condannati a morte dall’egoismo di chi vede solo sé stesso, i suoi bisogni e le sue esigenze.
Di chi sceglie di non far avere figli perché sottrarrebbero tempo alla professione o intaccherebbero il superfluo di cui infarcisce la propria esistenza. Di chi, di fronte ad una vita già formata, non esita a sbarazzarsi di una vita che, se difendesse i propri diritti, viene "spicciativamente" definita "ammasso di cellule". Non dobbiamo dimenticare, invece, che la morte rappresenta la fine del ciclo biologico ed è quindi eticamente accettabile solo se rientra in modo naturale in questo processo, non se viene stabilita (?) da chi si erge a giudice inappellabile.
Le due donne che hanno optato per la vita dei figli e non per la propria testimoniano l'unico caso in cui la morte non è semplicemente la fine dell'esistenza terrena, ma l'inizio di una nuova: esse rappresentano il seme, che morendo, permette ad una nuova pianta di germogliare. Qualcuno potrà considerare tutto ciò retorico, scontato. Non lo è, se si pensa che nella sola Sarajevo, durante i quattro anni di guerra, sono morti dodicimila bambini.
È bene chiarire, però, che un atto d’amore così grande è stato possibile perché Cristina e Felicita erano cristiane, perché la loro esistenza è stata illuminata e confortata dalla fede. Diversamente non avrebbero esitato ad agire come la cultura imperante invita a fare, e l’aborto sarebbe stato la naturale conseguenza.
Ed invece no. Felicita Nerati, quando seppe di essere incinta, desiderò a tutti i costi (e che costi!) avere il bambino, perché, disse, "era stato voluto, voluto però da un Altro, per un disegno che non sappiamo". E non volle ostacolare la realizzazione. Cristina Macellin, in una lettera scritta al nascituro, ha manifestato tutti i timori, le paure che umanamente assalgono chi, avendo già due figli in tenera età, si scopre di nuovo in attesa.
Nonostante ciò, ma soprattutto a dispetto di un tumore all’inguine che aveva già iniziato ad aggredirla, ha scritto testualmente: "Il Signore ha voluto ricolmarci di gioia: abbiamo tre bambini stupendi che – se Lui vorrà – con la Sua Grazia potranno crescere come Lui vuole. Non posso che ringraziare Dio perché ha voluto farci questo dono grande, che sono i nostri figli".
Queste mamme sono rimaste fedeli fino in fondo alla promessa matrimoniale di accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio avrebbe loro donato. Non ci sembra poco in un mondo che ha nella contraddizione una delle caratteristiche dominanti.
In una realtà in cui sono considerati modelli da imitare i campioni dello sport, gli esponenti del mondo dello spettacolo e tutti coloro che, generalmente, non hanno molto da offrire all’anima dell’uomo, le vite di Cristina e Felicita costituiscono due vere e proprie pietre miliari.
Ad esse non possono non guardare i giovani che vogliono dare senso alle loro giornate, che ritengono opportuno "vivere e non vivacchiare".
Paolo Graci
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