L’UNITÀ D’ITALIA: LIBERATORI O CONQUISTATORI?

In occasione della festa dell'unità la redazione di "Vivere... e non vivacchiare" vuole riproporvi la lettura di un nostro articolo che ripercorre gli eventi storici  del 1861. 

 

L’UNITÀ D’ITALIA: LIBERATORI O CONQUISTATORI? 

 

Cari lettori,

in questo numero il nostro desiderio  è quello di giudicare con voi uno degli eventi  più importanti per la storia della nostra nazione:  l’Unità d’Italia.  Quanto realmente conosciamo dell’Unità  d’Italia? Quante cose vengono volutamente  oscurate? Ormai avrete capito che con questa rubrica  proviamo a dare un giudizio critico sugli eventi  che hanno fatto la storia, cercando sempre la  Verità.  Se dovessimo cercare sui libri di storia l’Unità  d’Italia, probabilmente quello che riusciremmo  a trovare sarebbe la cronistoria di come Camillo  Benzo conte di Cavour, divenuto capo del  governo nel 1832, abbia attuato il suo personale  piano politico per unificare la penisola Italiana.  Tra le sue leggi di governo, per riuscire a  capire gli eventi che si verificheranno dopo,  è importante ricordare quella che aboliva le  congregazioni religiose contemplative, poiché  non si dedicavano ad attività “utili” come  l’insegnamento, nonostante il Re Vittorio  Emanuele III non volesse rendere tesi i rapporti  con la Chiesa più di quanto già non lo fossero.  L’impresa più grande e finale, che portò alla  tanto desiderata unificazione, fu la “Spedizione dei Mille” di Garibaldi, che si  concluse con l’entrata del re a Teano il 26 ottobre del 1860. Egli assunse il titolo di  Re d’Italia il 17 marzo 1861, giorno in cui ricorre l’unificazione.  Questo è quello che tutti gli storici raccontano; ora invece, vorremmo rendervi  partecipi del non detto e delle conseguenze che l’Unità d’Italia portò nella vita  della Chiesa e dei cittadini del territorio italiano. Il processo di unificazione nazionale non fu cosciente fenomeno di democrazia  popolare: le annessioni sabaude dei Regni preunitari furono la conseguenza di  guerre d’occupazione, le autonomie e le identità politico- legislative degli Stati  preunitari non furono esaltate in modelli federali o confederali, bensì furono  affogate in un centralismo clientelare di cui ancor oggi l’ Italia porta funeste  conseguenze; ma soprattutto i presupposti etici valoriali religiosi dell’ Identità  culturale italiana vennero volutamente scardinati ed ignorati dalla nuova classe  dirigente, conquistata dalle sirene politiche del liberalismo.  Il 16 giugno 1846 venne eletto papa il cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti che  prese il nome di Papa Pio IX. A quel tempo aveva fama di liberale e sostenitore  della causa nazionale italiana. Chiamò al governo dello Stato Pontificio un  tecnico di fama europea, un politico liberale: Pellegrino Rossi. Ma il papa contava  soprattutto sul delegato piemontese Antonio Rosmini, filosofo, teologo e  presbitero italiano.  Il nuovo governo, però, non rinnovò le credenziali a Rosmini. Ed è così che a Roma  gli eventi iniziarono a precipitare. Pellegrino Rossi venne assassinato da radicali  estremisti. Scoppiò una vera e propria rivoluzione che costrinse il Papa a fuggire.  I repubblicani lo avevano ipocritamente esaltato, solo per usare la sua immagine  per i loro scopi e, soprattutto, cercando di trascinare la Santa Sede in guerra  contro l’Austria, ma il Santo padre non avrebbe mai accettato. Il Papa manifestò la sua salda volontà di volersi sottrarre a questa  strumentalizzazione politica affermando: “Qui dagli esaltati si vuole  assolutamente che io pronunci la parola – guerra – cosa che non debbo far […]  Dico che il Papa non fa la guerra a nessuno, ma al tempo stesso non può impedire  che il desiderio ardente della nazionalità italiana non spinga oltre i confini le  truppe comandate dal general Durando. Dico infine che rinuncio francamente ai  progetti seduttori dei repubblicani che vorrebbero fare dell’Italia una Repubblica  sola con il Papa alla testa. Dico di rinunciarvi perché dannosi immensamente  all’Italia e perché la S. Sede non ha intenzione e non l’ebbe mai di dilatare i suoi  temporali domini, ma quelli bensì del Regno di Gesù Cristo.” Eppure, papa Pio IX venne accusato di tradimento, e da questo momento in poi  nacque la leggenda nera su di lui, nonostante questo non si arrese mai. I liberali erano pronti ad uccidere i  migliori politici suoi amici,  come Pellegrino Rossi, e a  saltargli addosso. Erano pronti  a porre sotto sequestro i beni e  le proprietà della Chiesa. Pio IX  capiva bene che in tutti questi  atti e sequestri, a perderci erano  i poveri, i semplici contadini, ai  quali in quel periodo pensava  solo la Chiesa. Ma i liberali non si  accontentarono di queste  soppressioni, né delle rapine di  monasteri e abbazie, né della  conquista dei territori dello  Stato pontificio. Pio IX dimostrò  di essere disposto quasi a tutto:  il 19 giugno 1871, quando già  tutto era perduto, ricordò i  primi gesti del suo pontificato,  affermando: “Ma io benedissi  allora l’Italia, come di nuovo la  benedico adesso, la benedissi, e  la benedirò.” Lo Statuto Albertino, agli  articoli 24 e 68, creava le condizioni per una  vera e propria legislazione di attacco alla  Chiesa. Tutti i preti, laici, fedeli cattolici che  protestarono e si opposero a tale attacco,  vennero arrestati ed esiliati. Pio IX sapeva che  questo era solo il preannuncio della tempesta.  Infatti, qualche anno più tardi, entrò in vigore la  legge per la soppressione degli ordini religiosi  e l’incameramento dei loro beni. I soldi che ne  derivavano non vennero usati per la popolazione,  ma vennero spesi per scopi personali, in particolare  per le guerre. In questi anni, morirono moltissimi  bambini, si stima che il 45% delle morti totali è di  bambini inferiori ai 5 anni, causate per lo più da  infezioni prodotte dalle pessime condizioni di vita  e di lavoro delle madri. Ci si domanda quindi: come  può uno Stato che rubò tutto alla Chiesa, e non solo  ad essa, non utilizzare questo denaro, o una sua  parte, per occuparsi delle condizioni tragiche del  popolo? Questo fantomatico Stato utilizzò la metà delle  finanze pubbliche nelle guerre, definite da loro  “di indipendenza”. L’élite dello Stato liberale non  ha mai tenuto in considerazione la popolazione,  ma ha pensato solo ad un arricchimento personale  e la celebre conquista del Sud Italia, per mano  del “grande” Garibaldi è proprio l’esempio più  lampante. Quello fu un vero e proprio colpo di Stato  che abbatté re Francesco, re legittimo, per insediare  una monarchia straniera. Nessuno parla mai del  fatto che il popolo meridionale non acclamò affatto  i cosiddetti liberatori, anzi, piuttosto, si ribellò  ad essi. Quella di Garibaldi fu una vera e propria  conquista coloniale che, oltretutto, si risolse  anche in un genocidio. L’esercito piemontese,  che si riteneva l’esercito liberatore, schierò nel  meridione circa 120.000 uomini contro i civili- ribelli. Furono 20.000 le vittime di quella che  chiamano la liberazione, una liberazione che umiliò  e calpestò la dignità e l’identità di un popolo.  Solo la Chiesa alzò la voce a denuncia di queste  violenze. Il 30 settembre 1861, Pio IX affermò  “Inorridisce davvero e rifugge l’animo per il dolore,  né può senza fremito rammentarsi molti villaggi  del Regno di Napoli incendiati e spianati al suolo  e innumerevoli sacerdoti, e religiosi, e cittadini  d’ogni condizione, età e sesso e finanche gli stessi  infermi, indegnamente oltraggiati e, senza neppur  dirne la ragione, incarcerati e, nel più barbaro  dei modi, uccisi. Queste cose si fanno da coloro  che non arrossiscono di asserire con estrema  impudenza… voler essi restituire il senso morale  all’Italia”. I soprusi continuarono per molto tempo  ancora. Come ci viene riportato dallo storico don  Giuseppe Buttà, vennero fatte numerose stragi  fra la popolazione civile, vennero massacrati  vecchi, donne e bambini. Lo stesso Garibaldi volle  andarsene da Capua per non assistere ed essere  complice di questo orrore.  Il 27 gennaio 1861 furono programmate in tutto  il neonato Regno d’Italia le elezioni. Ma quanti  erano effettivamente coloro che avevano diritto  di voto? Al tempo dell’Unità d’Italia erano appena  l’1,29% della popolazione. Allora ci chiediamo,  quanti effettivamente volevano questa Unità? Cosa  sarebbe successo se tutti avessero potuto dare la  propria opinione?  Ma, dopotutto, dobbiamo sempre ricordarci che  anche in questi periodi oscuri c’è chi combatte per  ciò in cui crede, come San Giovanni Bosco. Lui, a  differenza di molti, rifiutò di vendersi al nemico o  di rassegnarsi senza poter far altro che lamentarsi.  Don Bosco, stanco dei continui piagnucolii di alcuni  cattolici, nel 1877 disse: “Nessuno è che non veda  le cattive condizioni in cui versa la Chiesa e la  religione in questi tempi. Io credo che da San Pietro  sino a noi non ci siano mai stati tempi così difficili.  L’arte è raffinata e i mezzi sono immensi. Nemmeno  le persecuzioni di Giuliano l’Apostata erano così  ipocrite e dannose […] Bisogna avere pazienza,  saper sopportare e invece di riempirci l’aria di  lamenti piagnucolosi, lavorare perché le cose  procedano avanti bene.” E quale miglior consiglio  poteva lasciarci il nostro caro amico San Giovanni  Bosco per vivere come veri cattolici in questa  società omologata al pensiero comune?  A nulla serve lamentarsi, se poi non decidiamo di  fare qualcosa di concreto. Dobbiamo cercare quella  passione che faceva muovere santi e beati, come  Piergiorgio Frassati, Don Bosco, Faa di Bruno e  tanti altri. Il coraggio che li portava a combattere  le battaglie quotidiane, il quale deriva solo ed  esclusivamente da una grande e fervente Fede.  Non dobbiamo aver paura di nulla se crediamo  veramente in qualcosa di più grande di noi. Anche  noi viviamo in una società in cui si può dire solo  ciò che viene considerato “giusto”, in un sistema in  cui vige la teoria del politicamente corretto, perciò  dobbiamo essere saldi nella fede e continuare a  combattere la Buona Battaglia.

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