La staffetta della fede, di Andrej Siniavskij.
Non molto tempo dopo il mio arrivo nel lager, verso sera, un’ora prima della ritirata, mi si avvicinò un tale e mi chiese con cautela se non volessi ascoltare l’Apocalisse. Mi condusse nel locale della caldaia, dove era più facile nascondersi a delatori e carcerieri. Lì, nella penombra di quel covile simile a una caverna, si erano già raccolte, e si rimpiattavano negli angoli sedendo sui talloni, alcune persone e io pensai che ora qualcuno avrebbe estratto da sotto il giubbotto il libro o il fascio di fogli, ma mi sbagliavo. Illuminato dai bagliori rossastri della caldaia un uomo si alzò e cominciò a recitare a memoria, parola per parola, l’Apocalisse. Quindi il fuochista disse: “E adesso continua tu, Fjodor!”. Fjodor si alzò e recitò a memoria il capitolo successivo. Poi ci fu un salto nel testo, perché colui che sapeva la continuazione era a lavorare con il turno di notte. “Beh, lo sentiremo un’altra volta”, disse il fuochista e dette la parola a Pjotr. A questo punto mi resi conto che quei detenuti, tutti semplici contadini che avevano da scontare pene di dieci, quindici, vent’anni di lager si erano suddivisi tutti i principali testi della Sacra Scrittura, li avevano imparati a memoria e, incontrandosi segretamente di tanto in tanto, li ripetevano per non dimenticarli. Tutta questa strana scena mi ricordò allora un romanzo dell’americano Ray Bradbury, Fahrenheit 451. Il grado 451 è nella scala Fahrenheit la temperatura alla quale prende fuoco la carta e nel romanzo di Bradbury viene rappresentato appunto un futuro Stato “perfetto” in cui ogni cosa è regolata dall’alto e i libri e la carta sono proibiti. Quando nel corso di una perquisizione vengono scoperti dei libri, essi e le persone che li detengono vengono consegnati al fuoco. Alla fine del romanzo si narra che in certi luoghi fuori città, nottetempo, convengono in grotte e boschi degli uomini e uno dice: “Io sono Shakespeare”, e l’altro: “Io sono Dante”, o qualcosa del genere. E questo significa che il primo ricorda a memoria e declama qualcosa di Shakespeare, l’altro di Goethe, il terzo di Dante... I contadini del locale della caldaia avrebbero potuto dire di se stessi la medesima cosa. L’uno: “Io sono l’Apocalisse, capitolo 22”. L’altro: “E io il Vangelo secondo Matteo”. E così via, in una staffetta scandita da ciò che ognuno serbava nella memoria.
Andrej Sinjavskij.
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Andrej Donatovič Siniavskij |
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