Oggi è la festa del beato Rolando Rivi.
Vale la pena ricordare questo seminarista quattordicenne che ebbe la forza di resistere a chi voleva fargli rinnegare la ragione di tutta la sua vita, Nostro Signore Gesù Cristo.
I tempi per noi cristiani non sono mai lontani dal martirio, perché la parola stessa martire significa testimone e la testimonianza massima è quella del sangue.
In fondo non è accaduto ai tempi dell'antica Roma, ma solo sessantotto anni fa.
Chiediamo a questo bimbo futuro sacerdote, che prima di morire chiede di pregare per il babbo e per la mamma, la sua stessa innocenza, il suo stesso coraggio, la sua stessa fede, la sua stessa speranza e la sua stessa carità.
Portiamolo ad esempio per tutti i nostri figli, per tutti i nostri giovani. Chiediamo ai preti di incarnare il suo stesso spirito per essere di esempio come per Rolando altri furono a lui di esempio. Aiutiamoli. Chiediamo a Gesù di dare loro questa fortezza e questa carità, questo slancio educativo.
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Vita (tratta dal sito a lui dedicato http://www.rolandorivi.eu)
Rolando Rivi nasce il 7 gennaio 1931, figlio di contadini cristiani, nella casa del Poggiolo, a San Valentino, nel Comune di Castellarano (Reggio Emilia). Il padre si chiama Roberto Rivi e la madre Albertina Canovi. Ragazzo intelligente e vivace, “il più scatenato nei giochi, il più assorto nella preghiera”, Rolando matura presto un’autentica vocazione al sacerdozio. A soli 11 anni, nel 1942, mentre l’Italia è già in guerra, il ragazzo entra nel seminario di Marola nel Comune di Carpineti (Reggio Emilia) e veste per la prima volta l’abito talare che non lascerà più sino al martirio.
Il desiderio di diventare “sacerdote e missionario” cresce guardando alla figura del suo parroco, don Olinto Marzocchini, “uomo di ricchissima vita interiore, attento alle cose che veramente contano”, che fu per il ragazzo una guida e un maestro.
Nell’estate del 1944 il seminario di Marola viene occupato dai soldati tedeschi. Rolando, tornato a casa, continua gli studi da seminarista, sotto la guida del parroco, e porta nel suo paese un’ardente testimonianza di fede e di carità, vestendo sempre l’abito talare.
Per questa sua testimonianza di amore a Gesù, così intensa da attirare gli altri ragazzi verso l’esperienza cristiana, Rolando, nel clima di odio contro i sacerdoti diffusosi in quel periodo, finisce nel mirino di un gruppo di partigiani comunisti. Il 10 aprile 1945, il seminarista viene sequestrato, portato prigioniero a Piane di Monchio, nel Comune di Palagano sull’Appennino modenese, rinchiuso in un casolare per tre giorni, brutalmente picchiato e torturato.
Venerdì 13 aprile 1945, alle tre del pomeriggio, il ragazzo innocente, a soli 14 anni, spogliato a forza della sua veste talare, viene trascinato in un bosco di Piane di Monchio e ucciso con due colpi di pistola. Quando Rolando capisce che i carnefici non avrebbero avuto pietà, chiede solo di poter pregare per il suo papà e per la sua mamma. Anche in quest’ultimo istante, nella preghiera, Rolando riafferma la sua appartenenza all’amico Gesù, al suo amore e alla sua misericordia.
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