Una bella omelia, pronunciata da padre Thomas Bolin, monaco benedettino a Norcia, domenica scorsa
Anche se celebriamo la risurrezione di Cristo per cinquanta giorni, cioè tutto il tempo di Pasqua, e in un certo modo, anche ogni domenica dell'anno, oggi, l'ottava di Pasqua, in un certo modo porta la festa propriamente detta a conclusione. Giustamente, pertanto, il brano evangelico che abbiamo appena ascoltato è la conclusione del Vangelo secondo Giovanni. In questo brano vediamo la conversione dell'apostolo Tommaso. Quando vede il Signore risorto, lui dice, "Signore mio e Dio mio!" Fin dall'inizio del Vangelo, l'evangelista Giovanni ha detto che Gesù è Dio, in primo luogo nel prologo al Vangelo, dove dice che "il Verbo era Dio." Per contro, nessuna persona nel Vangelo dice una cosa simile fino a questo punto, proprio alla fine, quando l'apostolo Tommaso fa quest'affermazione. L'evangelista spiega che questo è il punto di tutto il Vangelo: "Gesù in presenza dei discepoli fece ancora molti altri segni, che non sono scritti in questo libro. Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e, credendo, abbiate la vita nel suo nome." Così, quando Gesù dice, "Beati coloro che hanno creduto senza vedere," egli parla di noi, che abbiamo creduto senza vederlo personalmente.
Tuttavia, sarebbe irragionevole credere, se nessuno avesse mai visto il Signore risorto personalmente. Per questo è importante per noi che Tommaso e gli altri lo abbiano visto direttamente. A questo punto, però, possiamo farci una domanda. Coloro che non credono dicono che ciò che abbiamo ascoltato nel Vangelo è solo una storia, un mito e, secondo loro, è lo stesso con gli altri racconti della risurrezione. Secondo loro, quindi, nessuno ha visto il Signore risorto e, quindi, non è ragionevole credere. Come possiamo sapere se hanno ragione oppure no?
È proprio per questo motivo, cioè per mostrarci che la risurrezione di Cristo non è meramente un mito, che Gesù ha dato ai discepoli il potere di fare miracoli. Ad esempio, il Vangelo secondo Marco finisce così, "Questi poi sono i segni che accompagneranno i credenti: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se avranno bevuto qualcosa di mortifero, non nuocerà loro, imporrano le mani agli infermi e questi saranno risanati" (Mc 16, 17-18). I miracoli, infatti, non sono rari nella storia della Chiesa, anche ai giorni nostri. Ad esempio, per l'approvazione della beatificazione di Giovanni Paolo II, che si svolge oggi a Roma, era necessario un miracolo provato.
Gli atei e gli altri che non vogliono credere respingono tutto questo. I miracoli non succedono veramente, dicono, e non ci sono vere dimostrazioni, non c'è nessun testimone affidabile. Così dice Ernest Renan, un ateo, "Dunque, cari cattolici, ci limiteremo a ricordarvi una verità oggettiva: sinora mai si è prodotto un 'miracolo' che potesse essere osservato da testimoni degni di fede e constatato con certezza." Secondo la verità, però, tali persone non credono perché non vogliono, e non trovano evidenza forte perché non cercarla. Per esempio, il 29 marzo 1640, a Calanda in Spagna, un ragazzo si ritrovò la gamba destra miracolosamente ripristinata, che gli era amputata due anni prima. Gli atei cercano spiegazioni naturali, ma non ci sono: tutto è attestato da più testimoni in documenti scritti che possediamo ancora oggi. I testimoni hanno visto il ragazzo lo stesso giorno, prima senza la gamba, poi dopo con la gamba. E sicuramente non è un caso di frode, non si può dire che il ragazzo aveva due gambe fin dal principio, perché c'è la testimonianza giurata dei medici che hanno amputato la gamba due anni prima. E ancora, non si può dire, per esempio, che i testimoni non abbiano visto il ragazzo stesso, ma invece un gemello, perché c'è il certificato originale di battesimo che afferma esplicitamente che il ragazzo era nato da solo. E così via. Tutte le obiezioni semplicemente dipendono dall'ignoranza dei fatti.
Per tutto il corso della storia della Chiesa, Dio continua sempre a confermare la Sua rivelazione da tali segni. Dobbiamo dire, allora, che la risurrezione di Cristo non è un mito, ma un fatto oggettivo.
Non basta, però, se crediamo nella risurrezione di Cristo. L'evangelista aggiunge qualcosa d'importante, dicendo, "Questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e, credendo, abbiate la vita nel suo nome." Non dimentichiamo quest'aspetto, cioè, "abbiate la vita nel suo nome" (Gv 20, 31). Non si dovrebbe dire, "Sì, Cristo è risorto", e poi vivere come sempre, senza cambiare niente. Invece, dobbiamo pentirci e cambiare la nostra vita. Quando abbiamo peccato, non basta andare a confessarsi; dobbiamo mettere in atto dei cambiamenti veri nella nostra vita. Gesù ha perdonato la donna sorpresa in adulterio, ma le ha detto anche di non peccare più. Ognuno di noi può applicare questo a se stesso, perché ognuno di noi è anche un peccatore, anche se in ambiti diversi. Allora, con l'aiuto di Dio e con l'intercessione di San Giuseppe, di cui oggi ricordiamo la festa, cominciamo adesso a praticare tutto questo, non soltanto credendo in Gesù, ma vivendo anche la nostra "vita nel suo nome."
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