Papa: per costruire la pace, occorre ridare speranza ai poveri
Medio Oriente e Asia in primo piano nell’esame della situazione del mondo fatta da Benedetto XVI con i diplomatici. Rimettere in vigore la tregua a Gaza. Servono nuovi leader per la pace. Le violenze anticristiane in India e Iraq. La mancanza di libertà religiosa. La crisi economica ha bisogno di una nuova fiducia.
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Per costruire la pace, occorre ridare speranza ai poveri”: ruota intorno a questo concetto l’esame fatto oggi da Benedetto XVI sulla situazione del mondo dal punto di vista della Chiesa cattolica, tradizionale tema del discorso che all’inizio di ogni anno i papi fanno ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede e che quest’anno rappresentano 177 Stati che hanno piene relazioni diplomatiche, ai quali vanno aggiunte alcune rappresentanze particolari, come la Russia, l’Olp e l’Ordine di Malta. Povertà materiale, ma anche spirituale, che “si combatte se l’umanità è resa più fraterna tramite valori ed ideali condivisi, fondati sulla dignità della persona, sulla libertà unita alla responsabilità, sul riconoscimento effettivo del posto di Dio nella vita dell’uomo”.
Lo sguardo che Benedetto XVI rivolge alla situazione mondiale – a partire dal conlitto in corso a Gaza - è, alla fine, un elenco dei luoghi dove, in maniera maggiore o minore, quella fraternità e quei “valori e ideali” non sono riconosciuti. Con l’Asia ancora a guidare questa non meritoria classifica, come già accaduto per il rapporto sul rispetto della libertà religiosa nel mondo. Presente sia nelle “discriminazioni e i gravissimi attacchi” dei quali sono stati vittima i cristiani in India – con la richiesta alle autorità di “di adoperarsi con energia per mettere fine all’intolleranza e alle vessazioni contro i cristiani - e in Iraq, sia nella preoccupazione per le nuove normative che in materia si stanno emanando nelle repubbliche dell’Asia centrale. La Chiesa, ripete il Papa, “non domanda privilegi, ma l’applicazione del principio della libertà religiosa in tutta la sua estensione”. E le comunità cristiane che vivono in Asia, ha detto più avanti, pur se piccole, “desiderano offrire un contributo convinto ed efficace al bene comune, alla stabilità e al progresso dei loro Paesi, testimoniando il primato di Dio, che stabilisce una sana gerarchia di valori e dona una libertà più forte delle ingiustizie”. Frase che è un’eco di quella contenuta nella lettera scritta nel maggio 2007 dallo stesso papa ai cattolici cinesi, stavolta non ricordati. Segno di ulteriore apertura e, forse, di speranza, più che costatazione di cambiamenti.
Vasto, naturalmente, il capitolo dedicato al Medio Oriente e, in primo luogo, alla Terra Santa, dove, “in questi giorni, assistiamo ad una recrudescenza di violenza che provoca danni e immense sofferenze alle popolazioni civili”. “Una volta di più, vorrei ripetere che l’opzione militare non è una soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente. Auspico che, con l’impegno determinante della comunità internazionale, la tregua nella striscia di Gaza sia rimessa in vigore – ciò che è indispensabile per ridare condizioni di vita accettabili alla popolazione – e che siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all’odio, alle provocazioni e all’uso delle armi”. A tale scopo, il Papa auspica che dalle elezioni in programma nel prossimo futuro “emergano dirigenti capaci di far avanzare con determinazione questo processo e di guidare i loro popoli verso la difficile ma indispensabile riconciliazione. A questa non si potrà giungere senza adottare un approccio globale ai problemi di quei Paesi, nel rispetto delle aspirazioni e degli interessi legittimi di tutte le popolazioni coinvolte”.
Ma Medio Orienta, nel pensiero di Benedetto XVI è anche la necessità di “dare un sostegno convinto al dialogo tra Israele e la Siria e, per il Libano, appoggiare il consolidarsi in atto delle istituzioni, che sarà tanto più efficace quanto più si compirà in uno spirito di unità”. Agli iracheni, poi, che “si preparano a riprendere pienamente in mano il proprio destino, rivolgo un incoraggiamento particolare a voltare pagina per guardare al futuro, per costruirlo senza discriminazioni di razza, di etnia o di religione”. Significatico che, accanto alla condanna per le violenze anticristiane in India e Iraq, ci sia l’auspicio che “nel mondo occidentale, non si coltivino pregiudizi o ostilità contro i cristiani, semplicemente perché, su certe questioni, la loro voce dissente”.
Ancora Medio Oriente nell’affermazione che “per quanto riguarda l’Iran, non bisogna rinunciare a ricercare una soluzione negoziata alla controversia sul programma nucleare, attraverso un dispositivo che permetta di soddisfare le legittime esigenze del Paese e della comunità internazionale”. E ancora Asia, infine, nell’affermazione che “una soluzione definitiva del conflitto in corso in Sri Lanka non potrebbe essere che politica, mentre i bisogni umanitari delle popolazioni interessate devono rimanere oggetto di attenzione continua” e nei “progressi” che il Papa vede nella “ripresa di nuovi negoziati di pace a Mindanao, nelle Filippine”, e nel “nuovo corso che prendono le relazioni tra Pechino e Taipei”.
Allargandosi all’Africa, che conta di visitare il prossimo marzo, il pensiero del Papa è andato in particolare ai bambini: “molti vivono il dramma dei rifugiati e dei trasferiti in Somalia, nel Darfour e nella Repubblica democratica del Congo. Si tratta di flussi migratori che riguardano milioni di persone che hanno bisogno di un aiuto umanitario e che sono soprattutto private dei loro diritti elementari e feriti nella loro dignità”. Di lì all’America latina, con un appello al “ricongiungimento familiare” per gli “emigrati”, in modo di conciliare “le legittime esigenze della sicurezza e quelle dell'inviolabile rispetto della persona umana” ed una lode per “l’impegno prioritario di certi governi per ristabilire la legalità e condurre una lotta senza compromessi contro il traffico di stupefacenti e la corruzione”.
Ma, al di là delle singole situazioni, Benedetto XVI sottolinea come conflitti e terrorismo mostrano che “nonostante tanti sforzi, la pace così desiderata è ancora lontana! Di fronte a ciò, non dobbiamo scoraggiarci o diminuire l'impegno a favore di una cultura di pace, ma raddoppiare i nostri sforzi per promuovere la sicurezza e lo sviluppo”. Specialmente di fronte alla crisi economica mondiale ed al crescere degli armamenti che “sottrae enormi risorse umane e materiali per i progetti di sviluppo, specialmente dei popoli più poveri”. Quanto ad una crisi che colpisce soprattutto i più deboli “è d’ora innanzi urgente adottare una strategia efficace per combattere la fame e facilitare lo sviluppo agricolo locale, soprattutto perché la percentuale di persone povere nei Paesi ricchi aumenta. In questo contesto, sono lieto che in occasione della recente Conferenza di Doha sul finanziamento dello sviluppo, siano stati individuati i criteri utili per orientare la gestione del sistema economico e aiutare i più deboli. Più in profondità, per rendere l'economia sana, è necessario costruire una nuova fiducia. Ciò può essere realizzato solo attraverso l'attuazione di un’etica basata sulla dignità innata della persona umana. So quanto ciò sia impegnativo, ma non è un'utopia!”. (FP)
Città del Vaticano (AsiaNews) – “Per costruire la pace, occorre ridare speranza ai poveri”: ruota intorno a questo concetto l’esame fatto oggi da Benedetto XVI sulla situazione del mondo dal punto di vista della Chiesa cattolica, tradizionale tema del discorso che all’inizio di ogni anno i papi fanno ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede e che quest’anno rappresentano 177 Stati che hanno piene relazioni diplomatiche, ai quali vanno aggiunte alcune rappresentanze particolari, come la Russia, l’Olp e l’Ordine di Malta. Povertà materiale, ma anche spirituale, che “si combatte se l’umanità è resa più fraterna tramite valori ed ideali condivisi, fondati sulla dignità della persona, sulla libertà unita alla responsabilità, sul riconoscimento effettivo del posto di Dio nella vita dell’uomo”.
Lo sguardo che Benedetto XVI rivolge alla situazione mondiale – a partire dal conlitto in corso a Gaza - è, alla fine, un elenco dei luoghi dove, in maniera maggiore o minore, quella fraternità e quei “valori e ideali” non sono riconosciuti. Con l’Asia ancora a guidare questa non meritoria classifica, come già accaduto per il rapporto sul rispetto della libertà religiosa nel mondo. Presente sia nelle “discriminazioni e i gravissimi attacchi” dei quali sono stati vittima i cristiani in India – con la richiesta alle autorità di “di adoperarsi con energia per mettere fine all’intolleranza e alle vessazioni contro i cristiani - e in Iraq, sia nella preoccupazione per le nuove normative che in materia si stanno emanando nelle repubbliche dell’Asia centrale. La Chiesa, ripete il Papa, “non domanda privilegi, ma l’applicazione del principio della libertà religiosa in tutta la sua estensione”. E le comunità cristiane che vivono in Asia, ha detto più avanti, pur se piccole, “desiderano offrire un contributo convinto ed efficace al bene comune, alla stabilità e al progresso dei loro Paesi, testimoniando il primato di Dio, che stabilisce una sana gerarchia di valori e dona una libertà più forte delle ingiustizie”. Frase che è un’eco di quella contenuta nella lettera scritta nel maggio 2007 dallo stesso papa ai cattolici cinesi, stavolta non ricordati. Segno di ulteriore apertura e, forse, di speranza, più che costatazione di cambiamenti.
Vasto, naturalmente, il capitolo dedicato al Medio Oriente e, in primo luogo, alla Terra Santa, dove, “in questi giorni, assistiamo ad una recrudescenza di violenza che provoca danni e immense sofferenze alle popolazioni civili”. “Una volta di più, vorrei ripetere che l’opzione militare non è una soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente. Auspico che, con l’impegno determinante della comunità internazionale, la tregua nella striscia di Gaza sia rimessa in vigore – ciò che è indispensabile per ridare condizioni di vita accettabili alla popolazione – e che siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all’odio, alle provocazioni e all’uso delle armi”. A tale scopo, il Papa auspica che dalle elezioni in programma nel prossimo futuro “emergano dirigenti capaci di far avanzare con determinazione questo processo e di guidare i loro popoli verso la difficile ma indispensabile riconciliazione. A questa non si potrà giungere senza adottare un approccio globale ai problemi di quei Paesi, nel rispetto delle aspirazioni e degli interessi legittimi di tutte le popolazioni coinvolte”.
Ma Medio Orienta, nel pensiero di Benedetto XVI è anche la necessità di “dare un sostegno convinto al dialogo tra Israele e la Siria e, per il Libano, appoggiare il consolidarsi in atto delle istituzioni, che sarà tanto più efficace quanto più si compirà in uno spirito di unità”. Agli iracheni, poi, che “si preparano a riprendere pienamente in mano il proprio destino, rivolgo un incoraggiamento particolare a voltare pagina per guardare al futuro, per costruirlo senza discriminazioni di razza, di etnia o di religione”. Significatico che, accanto alla condanna per le violenze anticristiane in India e Iraq, ci sia l’auspicio che “nel mondo occidentale, non si coltivino pregiudizi o ostilità contro i cristiani, semplicemente perché, su certe questioni, la loro voce dissente”.
Ancora Medio Oriente nell’affermazione che “per quanto riguarda l’Iran, non bisogna rinunciare a ricercare una soluzione negoziata alla controversia sul programma nucleare, attraverso un dispositivo che permetta di soddisfare le legittime esigenze del Paese e della comunità internazionale”. E ancora Asia, infine, nell’affermazione che “una soluzione definitiva del conflitto in corso in Sri Lanka non potrebbe essere che politica, mentre i bisogni umanitari delle popolazioni interessate devono rimanere oggetto di attenzione continua” e nei “progressi” che il Papa vede nella “ripresa di nuovi negoziati di pace a Mindanao, nelle Filippine”, e nel “nuovo corso che prendono le relazioni tra Pechino e Taipei”.
Allargandosi all’Africa, che conta di visitare il prossimo marzo, il pensiero del Papa è andato in particolare ai bambini: “molti vivono il dramma dei rifugiati e dei trasferiti in Somalia, nel Darfour e nella Repubblica democratica del Congo. Si tratta di flussi migratori che riguardano milioni di persone che hanno bisogno di un aiuto umanitario e che sono soprattutto private dei loro diritti elementari e feriti nella loro dignità”. Di lì all’America latina, con un appello al “ricongiungimento familiare” per gli “emigrati”, in modo di conciliare “le legittime esigenze della sicurezza e quelle dell'inviolabile rispetto della persona umana” ed una lode per “l’impegno prioritario di certi governi per ristabilire la legalità e condurre una lotta senza compromessi contro il traffico di stupefacenti e la corruzione”.
Ma, al di là delle singole situazioni, Benedetto XVI sottolinea come conflitti e terrorismo mostrano che “nonostante tanti sforzi, la pace così desiderata è ancora lontana! Di fronte a ciò, non dobbiamo scoraggiarci o diminuire l'impegno a favore di una cultura di pace, ma raddoppiare i nostri sforzi per promuovere la sicurezza e lo sviluppo”. Specialmente di fronte alla crisi economica mondiale ed al crescere degli armamenti che “sottrae enormi risorse umane e materiali per i progetti di sviluppo, specialmente dei popoli più poveri”. Quanto ad una crisi che colpisce soprattutto i più deboli “è d’ora innanzi urgente adottare una strategia efficace per combattere la fame e facilitare lo sviluppo agricolo locale, soprattutto perché la percentuale di persone povere nei Paesi ricchi aumenta. In questo contesto, sono lieto che in occasione della recente Conferenza di Doha sul finanziamento dello sviluppo, siano stati individuati i criteri utili per orientare la gestione del sistema economico e aiutare i più deboli. Più in profondità, per rendere l'economia sana, è necessario costruire una nuova fiducia. Ciò può essere realizzato solo attraverso l'attuazione di un’etica basata sulla dignità innata della persona umana. So quanto ciò sia impegnativo, ma non è un'utopia!”. (FP)
Commenti