Il testamento di mons. Rahho: amore per i “fratelli musulmani e l’Iraq”
Pubblicato il testamento dell’arcivescovo caldeo ucciso dal terrorismo islamico il mese scorso. Nessuna eredità materiale, ma un forte messaggio per costruire la pace e l’amore tra le comunità religiose. La concezione della morte, come l’apertura ad un “donarci a Dio nuovo e infinito”.
Mosul (AsiaNews) – È una consegna piena, totale e senza limiti nelle mani di Dio il testamento di mons. Paulos Faraj Rahho, l’arcivescovo caldeo di Mosul, trovato morto dopo 14 giorni di sequestro lo scorso 13 marzo. Nel testo, pubblicato dal sito in arabo Ankawa.com e che porta la data del 15 agosto 2003, il presule ucciso dal terrorismo islamico lascia un forte messaggio di amore e di fratellanza per tutte le comunità religiose dell’’“amato Iraq” e ricorda con particolare tenerezza i disabili della “Fraternità di Carità e Gioia”, da lui fondata nel 1989: “Da voi ho imparato l’amore, voi mi avete insegnato ad amare”. Rivolgendosi poi ai suoi famigliari ammette con semplicità: “Io non possiedo niente e tutto quello che possiedo non è mio. Io stesso ero una proprietà della Chiesa, e dalla Chiesa non potete rivendicare niente”.
Commentando il testamento, p. Amer Youkhanna, sacerdote caldeo di Mosul si dice “molto colpito” dalle parole di quello che era il suo vescovo sulla morte: “Nell’indicare la vita dopo la morte come il proseguimento più grande e infinito del donarsi a Dio, egli vuole dirci che quello che ci attende non è solo una ricompensa ‘passiva’ ma una vita in cui il Signore ci rende attivi con Lui”.
Di seguito riportiamo alcuni stralci del testamento, tradotti dall’arabo da AsiaNews.
“Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore.” (Romani 14,7-8). La morte è una realtà tremenda, la più tremenda di ogni altra realtà, ed ognuno di noi dovrà attraversarla. L’uomo, che dona la sua vita, se stesso e il suo essere e tutto ciò che possiede a Dio e all’altro esprime così la profonda fede che ha in Dio e la sua fiducia in Lui. Il Padre Eterno si prende cura di tutti e non fa mai male a nessuno. Perché il suo amore è infinito. Lui è Amore, ed è anche la pienezza della paternità. Così si comprende la morte: morire è interrompere questo donarsi a Dio e all’altro (nella vita terrena, ndt) per aprirsi ad un donarsi nuovo e infinito, senza macchia. La vita è il consegnarci pienamente tra le mani di Dio; con la morte questo consegnarci diventa infinito nella vita eterna. Chiedo a tutti voi di essere sempre aperti verso i nostri fratelli musulmani, yazidi e tutti i figli della nostra Patria amata, di collaborare insieme per costruire solidi vincoli di amore e fratellanza tra i figli del nostro amato Paese, Iraq. Il servo del Vangelo di Cristo Paolo Faraj Rahho
Mosul (AsiaNews) – È una consegna piena, totale e senza limiti nelle mani di Dio il testamento di mons. Paulos Faraj Rahho, l’arcivescovo caldeo di Mosul, trovato morto dopo 14 giorni di sequestro lo scorso 13 marzo. Nel testo, pubblicato dal sito in arabo Ankawa.com e che porta la data del 15 agosto 2003, il presule ucciso dal terrorismo islamico lascia un forte messaggio di amore e di fratellanza per tutte le comunità religiose dell’’“amato Iraq” e ricorda con particolare tenerezza i disabili della “Fraternità di Carità e Gioia”, da lui fondata nel 1989: “Da voi ho imparato l’amore, voi mi avete insegnato ad amare”. Rivolgendosi poi ai suoi famigliari ammette con semplicità: “Io non possiedo niente e tutto quello che possiedo non è mio. Io stesso ero una proprietà della Chiesa, e dalla Chiesa non potete rivendicare niente”.
Commentando il testamento, p. Amer Youkhanna, sacerdote caldeo di Mosul si dice “molto colpito” dalle parole di quello che era il suo vescovo sulla morte: “Nell’indicare la vita dopo la morte come il proseguimento più grande e infinito del donarsi a Dio, egli vuole dirci che quello che ci attende non è solo una ricompensa ‘passiva’ ma una vita in cui il Signore ci rende attivi con Lui”.
Di seguito riportiamo alcuni stralci del testamento, tradotti dall’arabo da AsiaNews.
“Nessuno di noi, infatti, vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore.” (Romani 14,7-8). La morte è una realtà tremenda, la più tremenda di ogni altra realtà, ed ognuno di noi dovrà attraversarla. L’uomo, che dona la sua vita, se stesso e il suo essere e tutto ciò che possiede a Dio e all’altro esprime così la profonda fede che ha in Dio e la sua fiducia in Lui. Il Padre Eterno si prende cura di tutti e non fa mai male a nessuno. Perché il suo amore è infinito. Lui è Amore, ed è anche la pienezza della paternità. Così si comprende la morte: morire è interrompere questo donarsi a Dio e all’altro (nella vita terrena, ndt) per aprirsi ad un donarsi nuovo e infinito, senza macchia. La vita è il consegnarci pienamente tra le mani di Dio; con la morte questo consegnarci diventa infinito nella vita eterna. Chiedo a tutti voi di essere sempre aperti verso i nostri fratelli musulmani, yazidi e tutti i figli della nostra Patria amata, di collaborare insieme per costruire solidi vincoli di amore e fratellanza tra i figli del nostro amato Paese, Iraq. Il servo del Vangelo di Cristo Paolo Faraj Rahho
Commenti