Viaggio in Sierra Leone - Diario di Bordo - 5.

17/09/2023

Questa giornata si chiamerà "Metodo". 

La chiesa di Makeni, dove fu parroco
Mons. Giorgio Biguzzi


Colazione a Kono e via verso Makeni per la messa, il viaggio in macchina è sempre molto interessante perché la nostra curiosità non si placa, vogliamo sapere tutto di quello che riguarda il SLCC e i collaboratori di John. Chiediamo di parlarci dei ragazzi che ieri ci hanno accompagnato in moto per tutta la giornata e anche il giorno precedente. John ce li elenca tutti:

Komba fa il grafico, Alfa, Emmanuel, secondo agronomo, sta imparando e sono otto anni che sta con l'associazione, Samuradavid, agronomo, è con loro da sette anni, Joshua si occupa delle costruzioni, Mohamed, Finda, Meata, che è la supervisor. Kaday è una volontaria, ci ha cucinato, e fa la nutrizionista nei villaggi, con loro da dieci anni. Questi ragazzi praticamente sono parte dei villaggi e si sono uniti all'associazione dopo che il SLCC è andato a fare la proposta di costituire la cooperativa, hanno visto qualcosa di buono e si sono proposti di aiutare ognuno a modo suo. Oggi fanno qualche lavoretto in forma privata personale e il resto del tempo viene dedicato all'associazione, una parte come volontariato, una parte con un piccolo contributo per il lavoro svolto. Sono tutti i giorni a monitorare le cooperative perché ci vivono dentro e pertanto molto del lavoro di supervisione e insegnamento delle tecniche lavorative lo fanno loro. La domanda sorge spontanea: ma John come fa ad essere così determinato e sistematico nel suo lavoro con ogni persona che incontra? Lui ci dice che non c'è una scuola per questo: si osserva, si studia il problema e si affronta non come una ONG, ma nella maniera che insegna la Chiesa Cattolica, educando le persone e avendo la pazienza di delegare ai giovani facendoli sbagliare e sbagliare e sbagliare, così loro faranno esperienza e impareranno dagli errori. Questo è quello che ci insegna anche la nostra compagnia ed è il modo cui Federica e Marco ci hanno cresciuto. La cosa difficile per noi è metterlo in pratica. 



John nel tempo, è divenuto molto conosciuto e ci dice che ha ricevuto un'offerta da un associazione cattolica inglese per trasferirsi in Etiopia e fare questo lavoro e seguire tutte le loro opere alla sua maniera dandogli 10.000 sterline al mese di stipendio e pagandogli tutte le spese per il trasferimento ma John ha detto che la vita di Tamba, di Philip o delle persone dei villaggi vale molto di più di 100.000 sterline l'anno. Andiamo di corsa alla messa delle 10.00 a Makeni particolare.

Finita la messa andiamo a conoscere il sacerdote che ci mostra la tomba di Monsignor F. Assolini, che è stato uno dei pionieri della Sierra Leone e nel tempo che è stato qui ha fondato nove parrocchie. Nella giornata di ieri avevo chiesto se potevamo passare a vedere la scuola che frequentava John da bambino, dice di sì e nel frattempo prendiamo la strada rossa per Kabonka. Lungo la strada un'incontro importante: Robert Kanu, che è un parente di John, dice: "se oggi siamo gli uomini che siamo è grazie a questi edifici scolastici". John è commosso nel ricordare le sue origini e dice a Robert di venire a Freetown in settimana perché vuole ospitarlo a casa sua, occuparsi un pò di lui e fargli una donazione per sistemare la scuola: dice che dobbiamo sostenere quello da cui tutto è iniziato.



Proseguiamo per Kabonka passando dalla strada di terra rossa che c'è ora; all'epoca era un piccolo sentiero, i ricordi sono molti, e il suo racconto prosegue: "Facevo questa strada lunga tre miglia la mattina e alla fine della scuola, ma spesso avevo fame nel tornare a casa ed era una sfida affrontare il cammino, ma ho perseverato tutti i giorni; questi erano i miei campi, il posto dove con i miei amici andavamo a caccia di piccoli uccelli e bacche, ci arrampicavamo sugli alberi e scalavamo le montagne. Io sono molto ottimista, altrimenti se ci lamentiamo e basta i problemi rimangono. Il segreto del successo risiede in tre cose:

- Determinazione 

- Perseveranza 

- Ottimismo

Il 9 settembre 1972 ho percorso questa strada a piedi per la prima volta, nel 2002 sono tornato da Oxford e avevo comprato la mia prima macchina e la prima cosa che ho voluto fare è stata tornare a Kabonka; ho pianto vedendo quante cose Dio aveva fatto nella mia vita. Appena arriviamo vedrete una piccola clinica che ho fatto costruire appena tornato da Oxford con i soldi dei miei primi lavori"





Arriviamo finalmente a casa di John dove ci vengono incontro tutti i parenti, in vita c'è ancora uno zio, il fratello più giovane del padre, sua moglie e dei cugini; ci sediamo sotto il piccolo portico e in breve tempo siamo diventati trenta, John porta i nostri saluti a tutti e ricorda loro i tempi in cui tornato dall'Italia aveva portato dei vestiti: beh, erano le nostre donazioni. Al villaggio non si parla piú il Krio ma il Limba, una lingua tribale propria di quella gente e non comprensibile nel resto del paese. Quello che ci colpisce è che in questo villaggio nessuno ci chiede nulla, non ci parlano dei problemi legati al lavoro, al bisogno di aiuti umanitari, ma lo zio di John chiede di pregare insieme per la nostra amicizia. Poi iniziano i racconti dell'infanzia: dicono che il nostro amico era uno scavezzacollo, si arrampicava ovunque, spesso rovinando i raccolti della frutta perché la faceva cadere quando non era matura, un giorno, dice lo zio, cadde da un albero e si fece una brutta cicatrice sul mento, non sapevamo se poteva guarire. I racconti vengono ripetuti sempre tre volte, prima vengono detti in lingua locale, poi tradotti in inglese e poi in italiano ma nulla è noioso, anzi. Uno dei cugini ci dice che John era un piccolo capo perché "ci mandava a raccogliere la frutta per lui e ci diceva di non dire nulla quando saltava la scuola sennò ci avrebbe picchiato". Una persona molto determinante nella sua vita fu appunto la nonna materna che era molto severa, e lo zio che quando si accorgeva che le assenze da scuola diventavano molte lo riprendeva e lo correggeva. Avremmo potuto ascoltare per ore, ma dobbiamo rientrare a casa, Millicent ci aspetta e stasera abbiamo proposto di cucinare italiano, quindi facciamo un giro del villaggio fino alla casa del capo passando per la foresta, alberi di cacao a non finire, palme di ogni specie e il maestoso albero Kapoc dalla circonferenza basale impressionante, molto particolare anche nelle terminazioni radicali. Da questo si ricava una specie di cotone che  utilizzano per le imbottiture dei materassi; vorrei capire come lo raccolgono, visto che parliamo di un albero che va dai trenta ai cinquanta metri di altezza. Prima di partire ci offrono una bevanda locale chiamata vino di palma, che si ottiene come lo sciroppo d'acero, mettendo delle taniche di plastica sotto la chioma della palma, facendo un'incisione e aspettando che il succo scenda al suo interno. Con questo abbiamo raggiunto l'apice, abbiamo fatto tutto quello che ci avevano sconsigliato di fare i nostri amici italiani, manca solo da iniziare a bere l'acqua del rubinetto. 



Arrivati a casa tutti ci aspettano come dei figli che non vedevano da anni e anche noi siamo felici, Giovanni cambia tutte le lenzuola dei nostri letti e John Musa ci chiede i vestiti sporchi e le scarpe per poterli lavare: sono delle persone straordinarie. Ed eccoci alla cena, ovviamente in stile africano perché sennò come facciamo a farci male? Stile africano vuol dire che si cucina sul carbone su una specie di braciere basso; il menù prevedeva di fare una carbonara ma non siamo riusciti a fare spesa e ripieghiamo su una aglio, olio e peperoncino, frittata con cipolle e "salsiccia" in padella. Durante la preparazione i ragazzi e Millicent fanno dei video dicendo: "ecco i miei cuochi italiani", tutto molto esilarante, l'atmosfera è veramente di una famiglia in festa. Ricordatevi che tutto questo si fa senza l'utilizzo della corrente elettrica e quindi quando inizia a fare buio si cucina con le torce. La famiglia è al completo, c'è anche Charles, il figlio più grande che è sposato. Si mangia e tutti sembrano apprezzare; spieghiamo che questo piatto in Italia è il piatto dello stare in compagnia nei momenti di festa e di facile realizzazione. 

La serata prosegue raccontando le avventure della giungla ma anche del periodo della loro vita che hanno passato in Inghilterra, cosa di cui forse non avevamo mai parlato tutti insieme. Anche Charles è molto interessato perché all'epoca era piccolo; forse abbiamo riacceso qualche piccolo fuoco di cui non avevano mai avuto modo di parlare. 

John ad un certo punto ci saluta, è molto stanco, ha guidato per ore e centinaia di chilometri, ma noi continuiamo a stare insieme a parlare delle nostre famiglie, del lavoro di ciò che ci piace, dell'olio di oliva che Millicent vuole provare, ci scambiamo i contatti e quando le forze vengono a mancare andiamo tutti a nanna.

Ciccio

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