Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 4.

16/09/2023

Questa giornata si chiamerà "Take your boot", come abbiamo sentito tra un discorso e un altro ieri mentre John parlava con i suoi collaboratori...

La sede del Sierra Leone Chesterton Center

Ricapitoliamo, quindi: abbiamo fatto, nella giornata di ieri, circa due ore di macchina da Freetown a Makeni per incontrare il giovane imprenditore italiano, e altre due circa per arrivare a Kono, il resto già lo sapete; oggi si parte per visitare le cooperative, praticamente stiamo facendo la settimana lavorativa di John, tralasciando che la notte lui scrive i progetti per la Banca Mondiale.  

Finalmente la strada diventa rossa e veramente dissestata; ora siamo nella giungla dove in ogni caso tutto risulta molto più pulito e ordinato rispetto alla città, anche se la povertà rimane la stessa. Nei villaggi esiste una vera dignità di vita, c'è un capo tribù che ha un grande potere sui membri del villaggio e sulla terra. Tutti hanno una casa anche se fatta a volte di terra e con il tetto di paglia, le migliori con il tetto in lamiera zincata. Fortuna che John ha un pick-up Toyota che fa paura, passa nelle pozzanghere con mezzo metro di acqua e fango, si ferma, mette il suo differenziale, oltrepassa il guado, sblocca e riparte a tutta, ed è anche un ottimo pilota. Dice che questo tragitto che vi ho descritto in parte lui lo fa una volta la settimana per incontrare i membri delle cooperative.

Un campo di riso. Su quella specie di capanna
c'è un bambino che fa rumore con due pentole
non appena si avvicinano gli uccelli


Nel primo villaggio incontriamo una donna membro del consiglio di amministrazione del SLCC  e capo di una  delle cooperative, che quando vede John inizia a volare per la contentezza. Lui voleva farle una sorpresa. Ci racconta la storia della sua cooperativa.

Ecco che succede quando John arriva nei villaggi.


Seconda cooperativa: il magazzino è migliore del posto dove vivono, ha un tetto in lamiera e le pareti in mattoni intonacati, si percepisce che non è un problema perché è più importante conservare bene  il loro cibo e il frutto del loro lavoro e che permette loro di avere una piccola dignità. Con i soldi che riescono a risparmiare nella cooperativa mandano i bambini a scuola e stanno decidendo di mandare qualcuno all'università. Tutti chiedono a John un miglioramento delle condizioni lavorative o dei magazzini, e lui in questo caso dice: "Fatemi vedere che tenete a ciò che abbiamo già costruito (il magazzino per il mais, ndr) verniciandolo e mettendo la scritta sul timpano e io mi impegno a farvi il pavimento per l'essiccazione".

Ecco il magazzino, è l'equivalente
delle antiche grance monastiche
benedettine della nostra Europa
dell'alto medioevo


Abbiamo ribattezzato molte persone, uno è il braccio destro di John e si chiama James, per noi è Gandalf. Noi ci facciamo ore nella macchina e tragitti a piedi nella giungla e quando arriviamo lui è lì che aiuta il popolo con il machete a pulire i terreni. Torniamo al Chesterton Center e lui è giá in ufficio, fresco come una rosa, visitiamo una nuova cooperativa e lui è lì... pazzesco, lo abbiamo detto anche a John e lui ci dice che è un'ottimo organizzatore.

Ciccio con Sama David.
Per arrivare nei villaggi a volte non
basta nemmeno il pick up di John,
ed allora ecco le moto
e spesso anche i piedi.


Il successivo è il villaggio di Masundu, il pick up deve però fermarsi, c'è un fiume bello largo e anche impetuoso, un ponte fatto con assi di legno che si piegano sotto i piedi e passiamo dall'altra parte comprese le moto dei collaboratori di John, che ci accompagnano per tutto il viaggio. Ora ci dicono di salire sulla moto, perché altrimenti a piedi ci vuole troppo ma davanti a noi c'è una salita veramente ripida: qui abbiamo rischiato di perdere il nostro pioniere americano, la pendenza e il peso di due persone hanno fatto ribaltare la moto all'indietro e tutti già per terra. Niente di grave, si sale a piedi e appena finita la salita eccoci di nuovo a bordo. Io sono con Sama David (l'agronomo), un vero asso, sfreccia su un sentiero di appena 50/60 centimetri a circa 60 Km orari, erba alta e pozze di fango e acqua, senza quasi mai mettere il piede a terra e con 100 kg dietro di lui. Dopo dieci minuti di moto arriviamo al villaggio, David mi scarica e torna indietro a prendere qualcun altro, ecco, sono il primo, nessuno con me, davanti ad una capanna con 20 persone che parlano Krio o Pidgin English. Beh, ho pensato: tanto io non sono meglio, e mi sono presentato al capo e a qualche bimbo. Qui iniziamo a vedere come lavorano le cooperative e facciamo un pezzo a piedi fino al campo dove in parte hanno seminato ed in parte stanno pulendo, ovviamente tutto a mano con machete artigianali e la maggior parte sono donne; un campo di un ettaro di giungla pulito senza nessun mezzo meccanico e seminato a mais, due giovani cooperative si sono aggregate e stanno pulendo il nuovo terreno; presto avranno un nuovo progetto insieme che è quello di costruire la strada tra i due villaggi. Le donne dicono di poterlo fare in quaranta giorni. John dice: "Sarò di ritorno e se non sarà fatto ve ne chiederò il perché". La modalità del SLCC è sempre la stessa: se i diretti interessati che aderiscono al progetto dimostrano di fare qualcosa per migliore le condizioni lavorative o di ottenere più raccolto, loro aiuteranno.

Ecco gli incontri nei villaggi: si progetta, si orienta,
si rimprovera, si esorta, si dà vera speranza.

Dopo esserci presentati e aver detto cosa facciamo, siamo tornati al villaggio e abbiamo assistito a una lezione di alfabetizzazione degli adulti. Indovinate chi compare come insegnante? Mr. James, è un grande. Praticamente chiede a tutta la classe - circa 40 persone - di dirgli delle parole legate a qualche contesto: sono diverse, tutte con la P; insegna come si pronuncia, come si dice la parola poi chiede di trovare sul libro che hanno delle parole con la P. Gira la lavagna di legno e dietro c'è una piccola storiella scritta con le parole della P che lui fa leggere agli studenti ad alta voce. La storiella è su una ragazza di nome Princess, ha una morale perché è una ragazza che é stata amata dal suo professore ed è rimasta incinta. Dopo aver fatto leggere e trovare alla lavagna le varie P, fanno un discorso studiando il significato della frase stessa. Meata (la supervisor) prepara le lezioni e monitora le cooperative nel lavoro dei campi. Ci sono, nelle trenta cooperative, cinque gruppi di lavoro dove si inizia ad essere alfabetizzati. Molti dei capi delle cooperative ci dicono che sono contentissimi di questo perché prima non sapevano né leggere né scrivere e ora stanno iniziando a farlo, e se usano il cellulare possono cercare i loro parenti sulla rubrica e contattarli. Altri dicono di saper scrivere i numeri. Dopo una nostra breve testimonianza sull'importanza del lavoro della famiglia e della comunità riprendiamo la strada per il ritorno in macchina. 

Ecco l'alfabetizzazione.


Io ho cercato di fare capire loro, tramite Kelvin (ormai tutti lo chiamano così) che i problemi ci sono anche in Italia e forse anche di più grandi rispetto ai loro: noi abbiamo molte comodità e troppi svaghi che ci rendono spesso insoddisfatti e non docili, spocchiosi e non necessariamente bisognosi di qualcosa, tanto che se non ci piace il lavoro che abbiamo o le regole che si devono rispettare alziamo i tacchi e ce ne andiamo. Riflettendo su questa cosa in macchina dicevamo che per noi educatori In Italia è veramente difficile: a volte perché si lavora con persone viziate, nessuno escluso, in un sistema dove è presente ogni comodità, ogni modo di sopravvivere anche stando su un divano, lasciandosi scorrere la vita addosso e bene o male alla fine si mangia pure qualcosa a pranzo e a cena senza alcuno sforzo o senza che qualcuno ci sproni a muoverci per contribuire al bene comune o della famiglia. Quando invece i bisogni vitali sono ridotti ai minimi termini bisogna fare qualcosa per cambiare la propria condizione, e quando qualcuno ti fa una proposta come quella di John non si può rifiutare, si è contenti e pieni di gratitudine verso chi ti dà la possibilità di uscire da quella condizione. Da noi, e penso a diverse facce, non c'è un bisogno primario, lavorare è come fare un piacere a qualcuno, pertanto inizia tutta una serie di nostri calcoli mentali su quanto guadagnerò, quale sarà il mio orario di lavoro, quanto tempo mi rimarrà per me stesso, cosa devo spendere per... o a cosa devo rinunciare del mio per fare questo e ingrassare i padroni etc. etc... Potrei fare mille esempi ma il punto rimane: se in testa nostra non riteniamo che il bilancio costi-benefici non valga la pena, beh, allora possiamo starcene anche sul divano ché si fatica poco, la corrente per la tv qualcuno la paga e alla fine della mia giornata mangerò anche. Per le persone che abbiamo incontrato non è cosi, devono costruire la propria vita (e non parlo di comprarsi la TV, le famiglie hanno tutte molti figli, non sanno che farsene della TV) e per farlo devono muoversi, forse non tutti lavoreranno fino a spaccarsi le mani per ripulire la foresta e avere un campo da coltivare ma ognuno fa qualcosa per il bene del villaggio, e devo dire che ho visto poche persone senza fare nulla.

L'ultima cooperativa che visitiamo è quella di Masayanday che in lingua locale vuol dire: "sostenersi sulle proprie gambe". Conosciamo Peter che ha un gruppo di diciotto persone (non poche, ma si può migliorare) e ci dice che hanno molti bisogni: vorrebbero un trattore per non stancarsi troppo e facilitare il lavoro alle donne. Qui John inizia il suo lavoro facendogli capire che le loro richieste non sono centrate sul problema: il trattore dove siamo arrivati noi a piedi non sarebbe utile, sarebbe un mezzo che, una volta guasto, nessuno saprebbe riparare, un mezzo che consuma molte migliaia di leoni di gasolio, quindi la domanda si ripropone: "Peter qual'é il vero problema?". E ad un certo punto John dice: "Peter, dove sono i tuoi giovani? Perché non sono qui ad aiutare? Basterebbe che tu raccontassi loro il successo del raccolto dello scorso anno". E lui in mezzo ad un incontro che possiamo definire di lavoro, con degli europei che ascoltano, l'unica cosa che dice è: "John, hai ragione, preghiamo perché possiamo riuscire a fare quello che ci hai fatto capire e per i nostri giovani", e abbiamo pregato tutti insieme. Adesso immaginatevi la stessa situazione lavorativa in Italia, con il responsabile del servizio che vi cazzia davanti a tre perfetti sconosciuti e ditemi: come avremmo reagito noi Tipi Loschi, o anche i dipendenti delle cooperative? 

Ormai è quasi sera e oggi abbiamo mangiato tre banane verdi e quindi crude (per poi sputarle), mentre dietro di noi i locali, ridevano nel vederci spelare ma non ci hanno detto nulla (il platano verde va cucinato). La fame si fa sentire sugli scalini del SLCC

I bimbi nei villaggi. Povertà ma grande dignità
e ordine.

che ti spezzano le gambe perché non ce n'è uno uguale all'altro: più alto, più basso, che pende in avanti o che pende all'indietro, qui c'è molta volontà ma poca precisione. Salutiamo e ringraziamo i collaboratori in moto e mangiamo con John alle 18.30, è un'ottima cena, e parliamo del prossimo progetto che vorremo scrivere per lui e ci accorgiamo che dietro la scuola lui sta costruendo un nuovo edificio per i laboratori tecnici: meccanica, saldatura, elettricisti, alberghiero (con il ristorante di Millicent, la moglie di John) e al piano di sopra una stanza multifunzionale per ospitare i formatori che dovranno venire dall'Italia, secondo John due o tre volte l'anno. Spettacolare per la riuscita del nuovo progetto. L'arcivescovo gli ha chiesto inoltre di iniziare un centro vocazionale. 

Per oggi abbiamo dato, inizia anche a piovere, buonanotte.

Ciccio

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