Vacanze di Natale a Norcia: fra "tipi loschi" e monaci terremotati - di Piergiorgio Bighin

L'approccio a Norcia é tra i più teneri che si possano immaginare. Viaggio con due giovani amici: Davide mio ex alunno che  lavora in una  cooperativa sociale legata a Opera Baldo e Francesco, giovane filosofo curioso delle cose, che vuol  conoscere la ‘Chesterton School’ di San Benedetto del Tronto e il fenomeno di questo monastero terremotato... 
Davide conosce bene la strada perché solo qualche giorno prima ha viaggiato con un camion verso Norcia portando al monastero una lavatrice enorme prelevata a Monselice. 
Il tempo è ancora buono anche se si prevedono nevicate intense a breve e sappiamo che dovremo lottare con il tempo.
A San Benedetto del Tronto i 'tipi loschi' del Beato Piergiorgio Frassati ci prendono immediatamente in carico e ci fanno sentire a casa nostra lì a Santa Lucia in cui andiamo a visitare l'ultima loro creatura: una fattoria risistemata ai margini di un campetto da calcio sul cucuzzolo del colle.
Il tutto è ben curato e creativo: dall'orto in cui spuntano gli ortaggi per il fabbisogno della compagnia (anche così vive il distributismo economico del grande Chesterton cui gli amici di San Benedetto si ispirano), al percorso vita tra gli alberi, agli asini piceni per gli itinerari  naturalistici in  questo angolo incomparabile del Tronto da cui si scorge giù a precipizio il più bell’Adriatico possibile.
Fa ora di pranzo e lì nei pressi vive la famiglia di Mery-Romeo capace di ospitare a pranzo una dozzina di persone tra Hobbit lavoratori di una cooperativa,  figli propri o in affido e pellegrini come noi.  Mentre Mary serve una splendida fumante pasta che placa immediatamente l'appetito delle truppe fameliche, Romeo ci racconta la storia di questo carisma particolare, incontrato da adolescente e perseguito con tenacia, fino a diventare un modo permanente di vivere. 
La sera siamo ancora ospiti a San Francesco che è un altro insediamento dei ‘tipi loschi’ che stanno estendendo il loro ‘dominio’ sui colli antistanti la città… In un tendone che ospita un centinaio di persone  mangiamo la pizza, preparata da pizzaioli reclutati per l'occasione, che arriva ad ondate come per prove ed errori: dapprima quella fredda e non ben cotta, poi quella quasi bruciata, infine eccola perfetta, al punto giusto di cottura,  calda fumante. Ma è così in tutte le cose, si impara solo facendole e loro le fanno!
Il giorno dopo si parte per tempo, non c'è molta strada per arrivare a Norcia ma le condizioni sono particolari, anche quelle atmosferiche e qualche tratto è già innevato. In molte parti la vita si è fermata, piccoli borghi bellissimi consegnati al silenzio e alla distruzione operata dal terremoto. Procediamo insieme seguendo la macchina che porta Marco Sermarini, l’avvocato capo dei ‘tipi loschi’ ormai diventatomi amico,  Emilio e suo figlio Andrea  (che intende consegnare ai monaci la sua personale offerta di cresima) che provengono da Rovereto!
Anch'io riesco a portare un dono legato al mio ultimo romanzo “Rosso fuoco laguna” che ha avuto un bel successo di vendite e l'offerta dell’istituto ‘Cestari Righi Sandonà’ di Chioggia in cui insegno. Vengono in mente le parole del priore: "Tutto il mondo sta venendo a Norcia e noi ci sentiamo come il bambino visitato dai Magi  che portano doni”.
Il loro insediamento non è più nei pressi della bellissima basilica di cui ormai è noto il frontone rimasto incredibilmente in piedi e oggi ingabbiato in una tela di ragno metallica. 
Lì i monaci  avevano le loro celle, il loro  scriptorium, il  birrificio, la loro tranquilla vita di preghiera  iniziata nel 2000 quando avevano rilevato l'antico convento benedettino.
Oggi hanno preferito riparare un po' fuori Norcia, nei pressi di una chiesa che avevano già sistemato e che dovranno riprendere in mano e riparare. Nei pressi due casette in legno, costruite in tutta fretta da amici provenienti da mezza Italia,  ospitano la cappella e il refettorio da una parte e le loro cellette dall'altra. Si tratta di una quindicina di giovani che celebrano messa  rigorosamente in latino con una devozione e un'armonia nei canti, frutto senz’altro di lunghe ore di allenamento. Ci stiamo appena nello spazio dedicato, separato da un paravento dal refettorio cucina. Gli spazi sembrano ora molto ridotti e sapientemente contingentati, tanto per l'altare tanto per le sedie e il leggio da cui il direttore di coro accompagna con l'onda  delle mani quella sonora delle voci in gregoriano.
Ci troviamo di fronte una presenza indiscutibile: i gesti, le voci, le posture introducono chiaramente al mistero che abita questo luogo santo. Qui si rinnova proprio la memoria di San Benedetto in quel di Subiaco, in quell’ eremitaggio di tre anni che lo preparava all'avventura del monachesimo. 
E ancora da questa terra riparte oggi la bellezza che ha saputo conquistare l'Europa. E noi ci accorgiamo di essere in uno spazio rifondativo dove opera lo Spirito, dove tutto richiama il senso e nulla è lasciato al caso. Neppure il terremoto ha tolto ieraticità ai gesti di questi uomini, sia che si tratti di pregare (del resto è il primo gesto che il mondo ha visto fare ad alcuni di loro inginocchiati in piazza davanti alla Chiesa che cadeva a pezzi…), sia di caricare la grande stufa a legna che arde al centro della baracca, sia di spazzare il percorso  preparando il lavoro per i giorni a venire che si annunciano già molto impegnativi per un inverno che è entrato con prepotenza  ed ha tutta l'intenzione di farsi rispettare.
Mi commuovo davanti a questi uomini capaci di trattare così anche la neve nella loro lettera dell’Epifania: “Questo strato bianco, nel giro di poche ore, ha fatto quello che a noi sarebbero occorsi anni: tutte le rovine di rocce, metalli e legno e detriti del nostro convento e di tutta la vallata, sono sembrati improvvisamente restaurati, puliti e purificati. È stato come avere un’apparizione del futuro, di una Norcia riportata al suo antico splendore. In tutta l’area non c’era traccia di distruzione, solo una coltre bianca e il sentimento che il buon Dio risolverà tutto per il meglio, così come ha fatto con il lungo e faticoso cammino dei Magi fino al luogo solenne.”.      
C’è della santa follia quaggiù tra questi giovani barbuti, lieti come bambini in gara tra loro per lanciare palle di neve più lontano possibile (settanta metri riferiscono nella stessa lettera e pare abbia vinto un giovane proveniente dalla Louisiana!). C’è della santa follia nel novizio, poco più che ventenne, che entra a prendere l’abito, proprio lì a Norcia, dopo un terremoto. 
C’è della santa follia nel constatare ‘con gioia  che, proprio come Dio chiamò gli uomini ad unirsi a San Benedetto tra le macerie dell'Impero Romano e della Villa di Nerone, così li chiama anche oggi, nonostante il terremoto materiale del 2016 e quello spirituale che ancora scuote la nostra epoca'.
Il viaggio di ritorno a Chioggia con i  miei giovani compagni di avventura è lungo,  silenzioso,  lieto.  


                                                                                                              Piergiorgio Bighin

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