LO SCRITTOIO DI CASTEL GANDOLFO. I COMPITI DELLE VACANZE DEL PAPA. UN TESTO SUI “VANGELI DELL’INFANZIA”, UN’ENCICLICA TOSTA SULLA FEDE PER INSEGNARE A CREDERE “NEL MODO GIUSTO” E IL CARDINALE NEWMAN, CHE SPIEGAVA L’UOMO “A PARTIRE DALLA COSCIENZA”


LUG 14, 2010 IL FOGLIO

Un'appendice ai due volumi dedicati a Gesù di Nazaret. L'impianto di una nuova enciclica. E la stesura dei discorsi dedicati a John Henry Newman da pronunciare in settembre durante il viaggio in Inghilterra e in Scozia, per la beatificazione del cardinale. Sono le tre fatiche nelle quali si è immerso Papa Ratzinger a Castel Gandolfo, dopo tanti anni le prime vacanze estive di un Papa senza montagna.
Il primo volume dedicato a Gesù di Nazaret è uscito nel 2007 ed è dedicato alla vita pubblica di Gesù, dal battesimo al Giordano fino alla Trasfigurazione. Il secondo volume è già ultimato. Mancano soltanto le traduzioni. Uscirà la prossima primavera ed è dedicato alla Passione e alla Risurrezione di Cristo. Cosa manca? L'infanzia di Gesù, appunto l'appendice ai due libri alla quale il Papa sta lavorando in questi giorni. Perché soltanto un'appendice? Perché l'intento di Ratzinger non è quello di scrivere un libro, bensì un breve fascicolo, un opuscolo destinato a trattare un tema affrontato con una certa agilità anche nei vangeli: se Matteo e Luca si soffermano a descrivere l'infanzia di Gesù, nessun accenno viene fatto in Marco e Giovanni. Ratzinger ha scritto i due libri mostrando una fiducia sostanziale nell'attendibilità storica del dato neotestamentario, contro il sospetto metodico. Esplicita è in lui la rivendicazione dell'unità e della continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Una continuità che viene data anche nei vangeli dell'infanzia: di qui la necessità di parlarne, di scriverne, di non eludere la loro presenza all'interno dell'opera.
Benedetto XVI ha scritto tre encicliche, una sociale e le altre due dedicate alle virtù teologali della carità e della speranza. Manca la fede. A questa nuova enciclica il Papa vuole lavorare questa estate. Almeno per mettere giù l'ossatura generale, l'indice e qualche bozza di testo. Non è un tema facile. Anche per Ratzinger, per anni prefetto dell'ex Sant'uffizio e dunque custode della fede contro le eresie e le devianze, il tema necessita di continue rivisitazioni. La prima, importante, fu quel "Rapporto sulla fede" scritto nel 1985 con Vittorio Messori. Oggi è attesa la seconda: un'enciclica in cui ritornare su un concetto chiave di tutto il pontificato in corso, la necessità di credere "nel modo giusto". "Circolano dei facili slogan", disse Ratzinger in "Rapporto sulla fede". "Secondo uno di questi, ciò che oggi conta sarebbe solo l'ortoprassi, cioè il 'comportarsi bene', l''amare il prossimo'. Sarebbe invece secondaria, se non alienante, la preoccupazione per l'ortodossia e, cioè, il 'credere in modo giusto', secondo il senso vero della scrittura letta all'interno della tradizione viva della chiesa". La tradizione viva della chiesa quale faro per credere correttamente. E' questa tradizione, secondo chi in Vaticano ha una frequentazione non sporadica col Pontefice, una delle principali preoccupazione di Ratzinger.
Il viaggio in Gran Bretagna è stato pensato dal Papa in vista della beatificazione di Newman. La figura del porporato inglese ex anglicano è stata importante per la formazione del Pontefice e importante può essere il suo portato per la chiesa oggi. Le energie spese da Newman verso l'anglicanesimo sono attuali e hanno molti paralleli con gli sforzi del Papa verso la chiesa cattolica. Newman era per una purificazione della fede da derive dogmatico-dottrinarie e per la riconciliazione con Roma. La conversione lo portò ad abbracciare una fede che trova tantissimi riscontri in Ratzinger, dalla lectio di Ratisbona in poi: la fede di Newman era ancorata alla ragione. Non aveva paura del progresso e della scienza e non temeva il dialogo con la filosofia. Beatificare il cardinale inglese significa mettere al centro dell'attenzione "l'uomo della coscienza", come lo definì Ratzinger. Newman spiegava l'esistenza dell'uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l'animo. Questo personalismo non rappresentava un cedimento all'individualismo, una concessione all'arbitrarietà, ma il contrario.

Pubblicato sul Foglio martedì 13 luglio 2010

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