Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 6.

18/09/2023.

Gli italiani in cucina alle prese
con i mezzi africani...


Questa giornata si chiamerà famiglia. 

Oggi ci siamo svegliati con calma, sempre verso le 07.45; il programma è di andare a scuola per spostare "il rinoceronte" dal piazzale alla sua vera casa e poi fare il giro della penisola e nel pomeriggio incontrare i ragazzi per parlare con loro in aula magna e raccontare della nostra scuola. Al nostro arrivo si raduna una schiera di giovani amici di Philip (il fabbro) che vengono a dare una mano a spostare il gruppo elettrogeno. La forza lavoro non manca ma l'impresa non è facile: il peso della bestia è notevole e deve scendere per una discesa ripidissima fuori dal cancello della scuola, per poi fare il giro dell'isolato verso la strada principale, per poi risalire per qualche decina di metri in una casupola costruita apposta per lui. Quello che mi preoccupa è la corta ma ripida discesa fuori dal cortile che termina in un piccolo fosso per lo scolo dell'acqua: stanotte e stamattina ha piovuto, c'è tantissimo fango ma questi ragazzi sembrano determinati e talmente sicuri di sé che affrontiamo il salto nel vuoto, anche perché ora che lavorano e urlano tra loro si può capire solo la gestualità, non la lingua o il dialetto tribale. John è tranquillo e ci fidiamo, io penso che qualcuno finirà male, Giorgio aziona il freno meccanico e Kevin fa quello che può. Tutto finisce per il meglio, non si può spiegare un'azione di questo tipo in questo paese, lo abbiamo fatto e basta.




Tornando dentro la scuola Millicent ci consiglia un cambio di programma: se aspettiamo dopo la scuola, i ragazzi se ne andranno tutti perché è brutto tempo, meglio incontrarli ora. Così sia. Nell'aula magna dedicata a Caldecott molti ragazzi, l'enorme stanza è piena e noi sul piano rialzato dietro ad un tavolo stile conferenza ci presentiamo e poi iniziamo a parlare della nostra scuola; sono tutti molto entusiasti e alla fine vengono per farci molte domande. Una tra tante è come possiamo dire che le nostre scuole sono uguali. Rispondiamo: perché condividono un'ideale. John alla fine riprende questo concetto per chiudere e salutare e dice che le nostre scuole sono uguali perché credono nella salvaguardia della famiglia e della comunità. 



Ora si parte veramente, con noi anche il cappellano della scuola nominato dall'arcivescovo. Il giro di tutta la penisola ci aspetta, ma prima ci fermiamo da Bread Avenue, un posto che quasi stona in mezzo alla situazione del paese, edificato dai turchi e concesso dal governo come una sfida per portare un po' di turismo in una parte della città che sembra dimenticata da Dio. Non male come idea, dice John. Beviamo un caffè vero e si riparte. Il giro è fantastico: si passa al porto dove sono stati scaricati i due container che abbiamo mandato. Lì, purtroppo, si vede il simbolo di una delle sconfitte di questo paese: la prima università della Sierra Leone costruita dagli inglesi nel 1800 ma ormai abbandonata, un edificio magnifico. La città versa in condizioni pietose, purtroppo: una città che dovrebbe contenere un milione di persone ne contiene almeno quattro milioni e la maggior parte senza tetto o che vivono in baracche di qualche metro quadro, bambini non scolarizzati ovunque e nessuno se ne preoccupa. Vediamo la città anche dall'alto, è impressionate. Lo scorso anno è scesa una valanga di fango dalla collina per le troppe piogge e mille persone che erano nelle baracche sono morte. Andiamo verso Lumley Beach, dove il tenore di vita migliora un pochino. Siamo alla ricerca di Gigi Bontà, l'attività di Luca Coccia, un nostro amico italiano che ha anche un orfanotrofio, e la troviamo subito. Siamo in riva all'oceano, ci fermiamo per un una birretta. 



Ormai sono le 16.00 il giro è lungo ma la grande città con le miriadi di moto che viaggiano anche contromano, persone a piedi che attraversano a tradimento e venditori ambulanti di ogni tipo. Il nostro pick up sembra un pesce immerso nella corrente del Golfo che nuota insieme a centomila altri pesci che vanno ognuno per conto suo. Da Gigi Bontà John parla ancora del distributismo e di come vorrebbe l'aiuto degli italiani per costruire un forno, fare la pizza e il pane per i suoi poveri: eccoci! E la storia della nostra pizzeria ci calza a pennello (ora, Beccio, sei conosciuto anche in Sierra Leone). John vuole noi, inizia a dirci anche di voler fare un piccolo giro di prodotti alimentari e materie prime, parliamo del grano e del suo impianto qui e dei pomodori con cui vorrebbe fare la passata. Spiego il procedimento per fare la passata e dico che innanzitutto bisogna bere moltissima birra ("very good") perché così possiamo riutilizzare le bottiglie per inserire il prodotto e per questo non c'è problema, solo oggi ne ho bevuto un gallone. Dico che siamo alla chiusura del cerchio del distributismo, e John si eccita. Una foto al mare e si ritorna a casa, parliamo di tantissime altre cose, sembra una fantastica domenica in famiglia. 



Quando finalmente "wi go bocue for your home" ci accorgiamo che moltissime persone tra professori, amici e anche bambini sono accorsi per preparare il pranzo di domani con l'arcivescovo e tutta la scuola, manca una delle capre a casa Kanu; era un dono del villaggio di Kabonka per il nostro arrivo. È tutto molto bello, stanno preparando la carne da insaporire con le spezie. Ieri sera abbiamo passato una splendida serata  mangiando insieme e cucinando per loro. Stasera la cena è più spartana, sono tutti impegnati per la giornata di domani: siamo noi, John e il cappellano, e il discorso finisce sulle impressioni personali di ognuno. Il cappellano ci dice che nella vita ha avuto momenti difficili perché in questo paese non è facile, e a volte la speranza si perde, ma il nostro arrivo ha riacceso il coraggio di proseguire perché ora sa che ci sono degli amici di John che possono aiutare questo popolo a cambiare. Noi siamo più concentrati sul ringraziare la famiglia Kanu per l'ospitalità e per averci fatto vivere questa fantastica esperienza che sarà l'inizio di una grande collaborazione e scambio di solidarietà tra le nostre opere. John ci dice le sue tre impressioni su di noi, ieri mentre mi coricavo ci pensavo e vi dico che: 

1) siete pazzi

2) siete coraggiosi 

3) siamo gli amici più sinceri che abbia mai conosciuto nella sua vita. E ci spiega il perché: in questo momento per noi è come essere fuori dal tempo perché abbiamo visto l'Africa con gli occhi di John (e ringrazio Dio, altrimenti non avrei fatto una così rigenerante esperienza) ma lui ci dice che non credeva che saremmo venuti nemmeno quando Sermarini gli ha comunicato questa notizia, nemmeno quando Kevin gli ha comunicato questa notizia, questo perché il lunedì precedente al nostro arrivo ci sono stati degli scioperi pazzeschi e ancora siamo a rischio dello scoppio di una guerra civile, il clima è veramente teso e precario. Continua: sì, siete pazzi, perché potreste bere acqua contaminata e stare male, essere punti da una zanzara e contrarre la malaria, andare nella giungla ed essere morsi da un serpente velenoso o fare un incidente (e vi assicuro che questo è facilissimo), siete pazzi a venire in Sierra Leone. Siete coraggiosi e siete le persone piú sincere che abbiamo mai conosciuto. 



Non ho potuto fare a meno di pensare ad una similitudine con l'"Enrico V":

«Chi è mai che desidera questo? Mio cugino Westmoreland? 

No, mio caro cugino. Se è destino che si muoia, siamo già in numero più che sufficiente; e se viviamo, meno siamo e più grande sarà la nostra parte di gloria.

In nome di Dio, ti prego, non desiderare un solo uomo di più. Anzi, fai pure proclamare a tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di battersi oggi, se ne vada a casa: gli daremo il lasciapassare e gli metteremo anche in borsa i denari per il viaggio.

Non vorremmo morire in compagnia di alcuno che temesse di esserci compagno nella morte.

Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiano; colui che sopravvivrà quest’oggi e tornerà a casa, si leverà sulle punte sentendo nominare questo giorno, e si farà più alto, al nome di Crispiano.

Chi vivrà questa giornata e arriverà alla vecchiaia, ogni anno alla vigilia festeggerà dicendo: “Domani è San Crispino”; poi farà vedere a tutti le sue cicatrici, e dirà: “Queste ferite le ho ricevute il giorno di San Crispino”. Da vecchi si dimentica, e come gli altri, egli dimenticherà tutto il resto, ma ricorderà con grande fierezza le gesta di quel giorno. Allora i nostri nomi, a lui familiari come parole domestiche – Enrico il re, Bedford ed Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester – saranno nei suoi brindisi rammentati e rivivranno questa storia. Ogni brav’uomo racconterà al figlio, e il giorno di Crispino e Crispiano non passerà mai, da quest’oggi, fino alla fine del mondo, senza che noi in esso non saremo menzionati; 

noi pochi.

Noi felici, pochi.

Noi manipolo di fratelli: poiché chi oggi verserà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto umile la sua condizione, sarà da questo giorno elevata, e tanti gentiluomini ora a letto in patria si sentiranno maledetti per non essersi trovati oggi qui, e menomati nella loro virilità sentendo parlare chi ha combattuto con noi questo giorno di San Crispino!».

Sì, perché se non combattiamo per queste cose non siamo degni di tutto quello che abbiamo ricevuto in questi giorni.

Credo che non torneranno a San Benedetto le stesse persone che sono partite e spero che Dio ci aiuti a spremere il succo di questa grandiosa esperienza e a trarne giovamento per tutta la vita. Immaginavo che sarebbe stato utile venire ma non fino a questo punto. Questo paese è un grande paradosso, come dice Chesterton. Da un lato ti verrebbe da aiutare tutti nel modo più veloce possibile, donando pochi soldi a ciascuno; dall'altro la cicatrice che ti lascia la vista della vita di questo popolo brucia troppo e verrebbe voglia di fuggire e dimenticare tutto al più presto. Ma in questo paese vive una famiglia che sta cambiando la società partendo dalle piccole cose e applicando il distributismo, una famiglia di cui noi siamo parte, che ci ha aperto le porte di casa senza pensarci due volte, che ci ha accolto e custodito, che non ha voluto che andassimo a stare negli alberghi degli europei per non mantenere le distanze, che ci ha dato persino i soldi per l'offertorio a messa come mi capita di fare qualche volta con i miei figli. John ci ha tenuto per mano ogni momento e con pazienza e anche molta fatica, per via del programma di lavoro molto intenso, ci ha guidato nel suo mondo, ora sta a noi non abbandonarlo e sostenerlo, ma soprattutto trasmettere (come lui è bravissimo a fare) quello che abbiamo colto della sua grande opera a tutti.

Ciccio

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