Viaggio in Sierra Leone - Diario di bordo - 8.
20/09/2023.
Questo giorno si chiamerà "Cambiamenti".
Una colazione più che eccellente a casa Kanu, oggi: mezzo sfilatino col tonno che pesa almeno mezzo chilo senza condimento, e fortuna che avrei dovuto perdere dei chili, niente di tutto questo con John. Dopo il barbecue di ieri la capra ancora bela nello stomaco, non si riesce molto a fare colazione ma penso che il tonno abbia il potere di divorare la capra e lo mandiamo giù. Ci siamo, è il momento dei saluti e non so se ognuno dei componenti della famiglia sembri fare altro per distrarsi da questo strappo, oppure siamo noi i soliti sentimentali. Anche oggi comunque non mancano le sorprese: difatti ognuno di noi riceve dei regali anche per i componenti delle nostre famiglie. Siamo sempre un po' in difetto, ma a loro fa piacere e ci testimoniano ancora una volta l'affetto che hanno per noi. Clare (l'ultima figlia di John e Millicent), dal secondo giorno a casa loro, ci ha cominciato a chiamare zii e ha litigato anche con dei bambini che gli chiedevano chi eravamo, e lei convinta rispondeva: sono i miei zii, e gli altri rispondevano che non è possibile, ma non avevano alcuna possibilità, è così e basta. La principessa Clare è fortissima, ha 5 anni ma un carattere deciso ed è simpaticissima.
Saliamo in macchina e si va, prima a scuola, poi alla parrocchia del cappellano per i saluti e per vedere un nuovo progetto di costruzione della canonica che ora manca. Salutiamo anche Alex, il nostro militare di scorta personale che ci dice che passerà di grado e diventerà responsabile di tutta la caserma. Ci avviamo al traghetto, un po' migliore di quello della scorsa volta per quanto riguarda la prima classe, per il resto tutto uguale, sovraffollamento e macchine parcheggiate ad un centimetro di distanza tanto da non potere aprire gli sportelli. A bordo appena la nave salpa assistiamo ad uno spettacolo che sarebbe stato da filmare: due ragazzi mascherati con della barba dipinta con pennarello bianco su pelle nera fanno una scenetta come le nostre, sembravano Francesco Casagrande e gli attori del vernacolo sambenedettese, facevano finta di essere uno musulmano e l'altro cristiano (secondo noi tutti e due musulmani), e si schernivano a colpi di frasi religiose, e poi hanno iniziato a coinvolgere il pubblico in una specie di gara a chi avrebbe ricavato più soldi, ognuno con la sua busta di plastica nera, ad ogni offerta ovazione per i cristiani o viceversa. Abbiamo vinto noi, ovviamente, e John ci ha dato dei soldi anche per fare questo giochino. Ci siamo divertiti come dei matti. Appena però il tonno ha sentito odore di mare aperto sarebbe voluto tornare lì, e si dimenava con tutte le sue forze per poter uscire, ci sarebbe voluta una grappa per farlo calmare ma niente.
Ora si scende e via, verso la parrocchia di padre Levi, a metà strada tra il molo e l'aeroporto; parrocchia di San Giuseppe. Aspettiamo al fresco di un albero di anacardi enorme; padre Levi torna in Italia col nostro stesso volo per venire a studiare, sa anche discretamente l'italiano. Adesso inizia il tempo senza tempo del volo, del fuso orario di un giorno passato a bordo di questa strana macchina. La cognizione di dove ci si trova e dove si arriva si perde, comunque fra qualche tempo saremo a casa; prima però salutiamo con un grande abbraccio l'uomo straordinario che abbiamo conosciuto ancora meglio rispetto alla sua prima visita da noi in Italia. Esattamente tra 4 ore saremo a Bruxelles. Che dire? Non so, oltre a quello detto in questi giorni, cosa si dovrebbe dire: solo che dobbiamo tornare perché questo popolo che John custodisce come ha fatto egregiamente con noi, ci aspetta e la speranza divampa semplicemente essendo lì tra loro. Poi dobbiamo mettere su il ristorante con la pizza.
Ovviamente come in ogni viaggio di ritorno mi capita vicino qualcuno che sbarcherei a 12.000 metri di altezza: una matrona dietro di me che ha fatto più giri di una giostra sul sedile e ogni volta si aggrappa al mio schienale e mi sta facendo venire il mal di mare di cui non soffro; un'altro davanti ma alla mia destra, mascherina FFP2 messa di traverso e doppio elastico, suda come un cavallo ma non la toglie: sta guardando da tre ore di orologio un documentario sugli scimpanzé e la loro vita di famiglia, statico è dire poco, la gente sta fusa. Beccio, solo tu mi puoi capire.
Comunque credo che dovrò affrontare dei cambiamenti nella mia vita e allo stesso tempo non devo dimenticare - cosa molto facile tornando alla quotidianità. Noi credo che abbiamo fatto veramente una grande cosa venendo in Sierra Leone, perché abbiamo lavorato con John e abbiamo capito ancora meglio come proseguire nell'aiutarlo.
Penso che non sono le grandi idee che cambiano il mondo, ma serve la sicurezza nel cuore per nutrire la speranza perché l'assenza di speranza è nemica di ogni cosa, la speranza ci consente di andare avanti anche quando la realtà viene distorta da chi ha il potere.
Le regole di John che ho assimilato guardandolo:
1) dare sempre una speranza senza mollare mai anche a chi apparentemente non lo meriterebbe;
2) non facciamo promesse ma siamo sempre pronti ad aiutare;
3) non siamo una ONG che dà soldi per tirarvi via dagli impicci o dalla fame;
3) capire qual è il problema e spendere del tempo per capirlo;
4) portare le persone a fare dei ragionamenti buoni per la propria vita;
5) non esiste una via facile per vivere e per risolvere i problemi;
6) mettere del proprio nella realizzazione dei progetti e una buona educazione sono la chiave del successo;
7) la comunità è fondamentale per vivere;
8) lavorare sempre insieme come una squadra;
9) quando possibile ci devono essere dei momenti di riposo con la famiglia;
10) la società si cambia partendo dalle piccole cose e dagli ultimi.
Ciccio
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